domenica 29 settembre 2013

GERMANIA: A TUTTO GAS VERSO IL DISASTRO di Wilhelm Langthaler*

29 settembre. IL VOTO AGLI "ANTI-EURO" di AfD: DOVE E PERCHÉ.
 
Una spaventosa vittoria



Da un punto di vista rivoluzionario il travolgente successo elettorale della Merkel è abominevole. Ne esce confermato un modello sociale incardinato sull’egemonia politico-culturale dei ceti medi sulle larghe masse. Dalle urne è venuta infatti la spinta a difendere il presunto Wirtschaftswunder tedesco (miracolo economico), in contrasto con la catastrofe che soffrono i paesi del Sud Europa. Le classi medie cercano stabilità e vogliono evitare ogni pericolo proveniente dai paesi più deboli della zona euro. In ultima analisi esse accetteranno le misure per prevenire ulteriori eruzioni della crisi dell'euro. Ulteriori haircuts alla Grecia saranno impopolari ma le classi medie confidano che la Merkel saprà fare ciò che è necessario, ma nulla di più. In apparenza il piccolo borghese ha ragione nel credere in quello che dice la Merkel: in un fosco contesto globale lei sta garantendo il successo della Germania .

Si potrebbe interpretare la maggiore consenso per l'oligarchia tedesca (di cui la Merkel è il principale rappresentante ) come il movimento inverso di ciò che sta accadendo nel sud dell'Europa. Laggiù le élite tradizionali sono  sempre più isolate e il loro sistema politico si approssima al collasso.



Populismo



L'oligarchia ed i suoi apparati mediatici e ideologici gridano al “populismo“ quando i dogmi centrali del regime  (neo)liberale vengono  messi in discussione.

In verità l'accusa di populismo va rovesciata proprio sulla stessa Merkel, in quanto è proprio lei che liscia il pelo alla  piccola borghesia dicendogli ciò che questa vuole che gli sia detto.



-      L'oligarchia ed i suoi apparati mediatici e ideologici danno la colpa della crisi ai paesi periferici. Raccontano che essi hanno vissuto oltre le proprie possibilità, mentre ora la Germania miete il raccolto della sua performance. Neanche la minima traccia dell'idea che la politica tedesca ha una grande responsabilità per le difficoltà e l'impoverimento dei paesi del Sud. Nemmeno una parola sul fatto che le classi dominanti tedesche hanno massicciamente beneficiato di tale situazione.



-      L’aumento delle diseguaglianze sociali, il dumping dei salari e la priorità alle esportazioni sono spacciati come un modello che il resto dell’Europa deve seguire. Un surplus permanente della bilancia dei pagamenti è celebrato come una virtù economica, non come un sintomo di squilibrio e di crisi.



-      La stabilità tedesca è diventata un dogma. Ma i fattori di crisi all'interno della zona euro si sono accumulati anche a causa del trattamento imposto da Berlino a paesi del Sud. Ciò mentre la moneta comune non offre alcun meccanismo di compensazione dei gravi squilibri . Una Germania in posizione di assoluto dominio impone i suoi interessi unilaterali anche contro quelli dei suoi  omologhi capitalisti degli altri paesi. Prima o poi questo porterà alla rottura della zona euro.



-      La classe dirigente tedesca sta portando l'Europa in un abisso sociale mentre si presenta come il salvatore. Non bisogna dimenticare un fatto importante: il mondo dei sogni della Merkel ha bisogno che non sia soltanto raccontato e venduto. Dall'altra parte ci deve essere anche qualcuno che voglia crederci. Le classi medie tedesche (molti salariati inclusi) si aggrappano a questo racconto con tutti i mezzi. Pezzi di ceto medio hanno votato per i socialdemocratici, i verdi o i liberali, ma le  narrazioni di questi ultimi sono sostanzialmente le stesse. Che cosa accadrà se questo sogno apparente si trasformasse in un incubo ?



La morte dell'ideologia del capitalismo puro



Nel 2009, solo un anno dopo il crollo di Lehman Brothers e dei miliardi di aiuti statale distribuiti per salvare il sistema (essenzialmente doni al capitale finanziario ) i liberali del Fdp, con il loro rozzo e aggressivo neoliberismo, ottennero un enorme risultato elettorale. Come se le classi dominanti avessero voluto dire al mondo: "ora il capitalismo sarà ancora più selvaggio! Noi insistiamo sul diritto di arricchire noi stessi e lo stato ha il dannato dovere ci consentircelo!" Ma ben presto questa pretesa franò. Troppo grandi le difficoltà economiche; troppo cinismo nel chiedere di tagliare ulteriormente i contributi fiscali dei ricchi.

"Antisemitismo": uno degli esempii della campagna contro l'AfD
Intanto la Merkel, mentre faceva gli interessi delle oligarchiche classi dominanti, sapeva bene come accontentare le vaste classi medie. I liberali del Fdp sono stati gradualmente trasformati in una stampella della  maggioranza della Merkel, a lei utili  anche per tenere buona la propria ala ultra-conservatrice che potenzialmente avrebbe messo a rischio il suo ampio consenso popolare. Il populismo della Merkel ha prevalso perché i tedeschi hanno preferito l'originale alla sua copia.



L’euro è il problema



Alternativa per la Germania (AfD ) ha preso le fattezze di una severa casalinga sveva mentre la Merkel ha saputo far leva sul senso comune della classe media. Per AfD  la Germania dovrebbe rifiutarsi di accollarsi qualsiasi rischio per l’Europa del Sud, come del resto la Merkel ha fatto in buona sostanza di fronte a collasso di diversi paesi. Le conseguenze derivanti da tale rifiuto non sono né apertamente dichiarate né adeguatamente ponderate. Ma si dichiara di essere pronti per affrontarle. Nessuna parola, invece, sul fatto che il capitale tedesco è stato in grado di fare profitti enormi grazie all'euro.

Non una parola sul fatto che non è il debito che ha causato la specifica crisi dell’eurozona, ma gli squilibri delle partite correnti e la mancanza di un meccanismo per regolare il diverso ritmo di crescita della produttività — ciò che ha contribuito ad aggravare la crisi globale generale.



Ciò nonostante, il successo elettorale del AfD è un fatto positivo, in quanto, pur la poliitca di AfD rimanendo all'interno di un modello liberista, segnala un’opposizione al regime dell'euro. I voti ad AfD non sono venuti infatti solo dal Fdp &Co. AfD ha strappato molti elettori anche da Die Linke, ciò soprattutto nella Germania orientale [vedi cartina elettorale qui accanto].
In queste circoscrizioni, dove Die Linke è nei governi locali e applica le ricette del regime oligarchico, gli elettori di sinistra  non hanno solo espresso la loro insoddisfazione ma espresso una richiesta di radicale alternativa al regime dell'euro.

La linea di ostracismo verso AfD scelta dalla sinistra è stata funzionale al sistema. Essa faceva intendere che il “centro” attorno alla Cdu della Merkel (più Spd e Verdi) è un male minore per il popolo lavoratore. Questo è pazzesco. La protesta contro l'euro indebolisce le classi dominanti e il loro progetto, malgrado questa venga dall’interno del sistema. Se la sinistra non risponde positivamente a questa protesta radicale contro l’euro, se non osa far suo l’obbiettivo di sciogliere la zona euro, essa rischia di spingerla tra le braccia della destra.



L'AfD si è affermata soprattutto ad Est, nelle zone 
più "rosse". La cartina mostra il voto ad AfD nel
"secondario", ovvero nella quota proporzionale.
Die Linke è la speranza?




Qui non ci riferiamo alla Spd, che ha aperto la strada al Merkelismo con l’adozione dell' Agenda 2010Hartz IV sul mercato del lavoro a basso costo, ecc.) , ma a Die Linke . La sua relativa affermazione elettorale è un fatto positivo, anche visto da un punto di vista rivoluzionario. Certo, la leadership intorno Gysi è orientata ad entrare nel sistema assumendo posti di governo come già avviene in molti stati federali, non solo nella Germania Est. Per essere accettata anche a livello federale (cioè nazionale), Die Linke ha giurato fedeltà ai due dogmi centrali della oligarchia. I due dogmi sistemici sono uno internazionale e uno nazionale: Israele e l'euro. Fortunatamente le classi dominanti sono così stupide da usare il vecchio cavallo di battaglia dell’anticomunismo, ciò che salva il partito dall’autodistruzione. Ma non ci vorrà un altro decennio per superare questi pregiudizi. Ben presto dentro il sistema politico si farà strada l’idea che è un beneficio poter contare sulla cooptazione della Linke.



La Linke non sarà in grado di offrire una risposta anti-sistemica alla crisi, il cui simbolo è il rifiuto dell'euro. Non è che Gysi & Co non abbiano il coraggio di farlo, semplicemente non lo vogliono. Essi evocano il pericolo del nazionalismo come se il Merkelismo non fosse basato sull’egoismo nazionale. Non solo le economie del Sud Europa hanno bisogno di lasciare il letto di Procuste per sopravvivere.



Le masse subalterne, nel momento attuale hanno solo una possibilità, tornare alla politica, difendere i loro propri interessi nell’ambito dei rispettivi teatri nazionali e lottare per prendere il controllo dello stato. Se si chiede ai poveri di Grecia, Portogallo, Spagna o Italia di attendere che la Linke e le masse tedesche rovescino la Merkel, essi saranno già morti di fame prima che questa accada.

* Wilhelm Langthaler, portavoce internazionale del Campo Antimperialista 
*** Traduzione a cura della redazione

TANTO TUONÒ CHE PIOVVE di Leonardo Mazzei

29 settembre. «Se ne vadano tutti!» e un bel «vaffa!» all'Europa. Una formula semplice e probabilmente vincente.

Dunque il cerino si è consumato del tutto. Con le dimissioni dei berluscones il classico giochetto del teatrino bipolare italiano, durato addirittura due mesi interi, è giunto al termine. Chi si è scottato le dita? Secondo i più, il solo Silvio Berlusconi. Non siamo d'accordo: se le sono scottate tutti, tutte le forze della maggioranza che hanno fin qui sostenuto il governicchio presieduto da Letta. Ma c'è uno sconfitto che è più sconfitto degli altri. Ed è il sant'uomo che siede al Quirinale.

Egli, con una pervicacia senza limiti, ma certamente sostenuta in sede europea, ha preteso di veder volare gli asini, pensando di poter trasformare il più raccogliticcio dei governi in un esecutivo capace di reggere, di affrontare la crisi, di approvare le (contro)riforme costituzionali.

Il bluff, dietro il quale si manifestava tutta questa presunzione quirinalesca, lo si è visto nell'afoso pomeriggio del 1° agosto. Quel giorno la Cassazione, anziché cassare la condanna al secondo azionista del governo in carica, ha cassato le speranze del presidente della repubblica, che certamente non aveva mancato di esercitare le sue pressioni sui giudici di Piazza Cavour.

Come annotammo a caldo, la vera notizia di quel giorno, più che la stessa sentenza, fu la sconfitta del bis-presidente. E' da quel momento che il conto alla rovescia è iniziato. Ed ogni tentativo di ignorare questo fatto ha veramente del patetico. Adesso, dopo due mesi, siamo alla resa dei conti.

Non avevamo dunque torto a definire come governicchio l'esecutivo guidato da Letta. Qualcuno nell'estrema sinistra, sempre portato a considerare come invincibili i piani del blocco dominante, ce lo ha rinfacciato, quasi accusandoci di sottovalutare l'operazione "larghe intese". Bene, oggi l'esito di quell'operazione è sotto gli occhi di tutti. Il nemico è perfido e diabolico, ma non invincibile. Ricordiamocelo.

Le «larghe intese» non hanno funzionato e non potevano funzionare. Non perché tra Pd e Pdl vi sia chissà quale differenza di programma e di prospettiva. Anzi, da questo punto di vista - in una situazione "normale" -  l'alleanza avrebbe potuto felicemente funzionare per qualche decennio. Ma, ci sono due "ma". In primo luogo c'è la "variabile B", come Berlusconi, che rende palesemente impossibile una qualsivoglia navigazione al governo. In secondo luogo, ma ancora più importante, c'è la "variabile C", come crisi. E' vero, sia Pd che Pdl sono uniti dall'assenza di idee su come venirne fuori, ma proprio per questa comune incapacità ad affrontare le questioni di fondo, sono giocoforza destinati a scontrarsi sulle questioni palesemente secondarie, come l'IMU.

Certo tutto questo era ben noto agli "addetti ai lavori", ma dalla regia del Colle si riteneva forse di poter riuscire a mandare in porto almeno la nuova legge elettorale. Un'ipotesi che ha retto fino alla decapitazione del Pdl. Fino a quel punto, infatti, lo scambio era quello tra una legge elettorale favorevole al Pd ed un salvacondotto assicurato al buffone di Arcore. Ma ora che il salvacondotto è venuto meno, perché il Pdl dovrebbe fare un favore così grosso al Pd?

Dunque il governicchio messo in piedi in primavera è alla frutta. Mancano solo le dimissioni, a questo punto una mera formalità. Ma i giochi sono tutt'altro che fatti.

Sta infatti per iniziare una torbida partita. O meglio, essa sta soltanto per venire alla luce, dato che - dietro le quinte - è in corso già da alcune settimane. Di che cosa si tratti lo abbiamo già scritto: del trasformistico cambio di casacca di un buon numero di senatori (deputati non ne servono, e vedrete che lì ci saranno ben pochi passaggi), in modo da consentire la nascita di un governicchio bis in grado di approvare la Legge di stabilità e, soprattutto la nuova legge elettorale.

Saranno sufficienti questi transfughi per dar vita ad un nuovo esecutivo? Al momento non lo sappiamo. Movimenti si annunciano dalle truppe berlusconiane (siciliani in specie), ma anche tra i senatori del M5S. Pochi dubbi sul fatto che, alla bisogna, si aggiungerebbero pure i pochi senatori di Sel. Basteranno costoro, rafforzati anche dalle 4 nomine a senatore a vita (tra le quali una cinquantenne!) recentemente decise dal bis-presidente? Lo vedremo ben presto.

I dubbi riguardano i senatori pidiellini. Dal loro miserabile punto di vista, i tanti potenziali Scilipoti hanno infatti un drammatico problema. Il tradimento avviene in genere sia per conservare la poltrona (ad esempio prolungando una legislatura altrimenti al lumicino), che per garantirsi la rielezione, attraverso una trattativa col "compratore". In questo caso entrambi gli obiettivi sono problematici.

Se prolungamento della legislatura ci sarà, sarà solo per alcuni mesi, al massimo fino alla prossima primavera. Troppo poco per le aspettative di questi saltimbanchi. Tuttavia il problema potrebbe risolversi con la garanzia della rielezione. Ma anche qui non mancano i problemi. A meno che costoro siano disponibili a passare immediatamente, armi e bagagli, al centrosinistra, la prospettiva più "naturale" sembrerebbe quella di un passaggio verso "Lista Civica" e Udc. Ma questo, più che altro, sembra un vero e proprio viaggio verso il nulla. Un rischio che i tanti piccoli Scilipoti non possono permettersi. Da qui le incertezze del momento, senza considerare che Berlusconi potrebbe aver utilizzato queste settimane per riaprire generosamente il suo portafoglio, che però non è detto sia l'unico della partita...

Ecco a quali calcoli, a quali virtuosi gentiluomini, si aggrappano le speranze del Quirinale e del Pd. Del resto anche l'attuale polemica col noto evasore è assai penosa. «Gesto folle e per motivi personali», ha tuonato Letta il nipote, dopo le dimissioni dei ministri del Pdl. Ma non è proprio con questo folle, che agisce solo per interessi personali, che egli avrebbe voluto continuare a governare?

E' una vergogna. Una vergogna che Napolitano ha costruito con le sue mani. Il capolavoro politico di un autentico golpista, che certo non si fermerà proprio ora.

In questo momento così delicato è fondamentale che chi guida il M5S tenga dritta la barra. Innanzitutto cercando di ridurre al minimo i transfughi al Senato, che è poi il modo concreto per arrivare al voto al più presto, come il movimento già chiede.

La natura del governicchio bis va subito smascherata. Se nascerà, sarà solo per arrivare al Super-Porcellum ideato da Violante, una legge truffa al cubo, ultra-maggioritaria ed antidemocratica.

«Se ne vadano tutti, e subito!», questa parola d'ordine è oggi più forte di ieri. Il disastro politico compiuto da Napolitano, dal suo pupillo Letta e dal suo grande elettore Berlusconi, non può rimanere impunito.

Ma per vincere - perché questa sarà la posta in palio - occorre qualcosa di più: occorre dire basta a questa Europa che ci impone sacrifici, tasse, tagli, disoccupazione e percentuali del debito. E che per ottenere questi obiettivi ha prima imposto Monti, reimposto Napolitano, benedicendo Letta e il suo matrimonio con Berlusconi.  «Se ne vadano tutti!» e un bel «vaffa!» all'Europa. Una formula semplice e probabilmente vincente.

sabato 28 settembre 2013

BANCOCRAZIA: QUANDO SCOPPIERÀ LA BOMBA? di Michael Snyder

28 settembre. Dati inquietanti quelli pubbicati dal quotidiano statunitense  Los Angeles Times il 17 settembre scorso. Quelle che erano considerate dopo il collasso del 2008 "banche troppo grandi per fallire", ora sono molto più grandi di prima. La tabella accanto ci dice che gli asset totali del sistema bancario Usa ammontino a 14,4mila miliardi di dollari e che le sei principali banche ne detengano il 67%. Ecco chi anzitutto si è avvantaggiato della politica monetaria della Federal Reserve. L'autore, che non è certo un anticapitalista, mette giustamente in guardia che, nel caso la Fed sia costretta ad alzare il tasso d'interesse e/o sopraggiunga un'ondata di panico sui derivati, la possibilità di un crollo ancor più catastrofico di quello del 2008 è nell'ordine delle cose.


«Le banche "troppo grandi per fallire" sono ora molto, molto più grandi di quanto non fossero l'ultima volta che hanno causato così tanti problemi. Negli ultimi cinque anni le sei maggiori banche degli USA sono cresciute del 37%. Nel frattempo, 1.400 banche più piccole sono scomparse nello stesso periodo.
Ciò significa che la salute di JPMorgan Chase, Bank of America, Citigroup, Wells Fargo, Goldman Sachs e Morgan Stanley è più critica per l'economia degli Stati Uniti rispetto al passato. Se nel 2008 erano "troppo grandi per fallire", ora devono essere "troppo colossali per crollare". Senza queste banche, non abbiamo un'economia.

Le sei più grandi banche controllano il 67% di tutte le attività bancarie degli Stati Uniti e Bank of America da sola é responsabile di circa un terzo di tutti i prestiti alle imprese l'anno scorso. La nostra intera economia è basata sul credito, e queste banche giganti sono il centro stesso del nostro sistema di credito. Se queste banche andassero al collasso, una brutale depressione economica sarebbe garantita. Purtroppo, come si vedrà più avanti in questo articolo, queste banche non hanno imparato nulla dal 2008 e continuano ad essere estremamente imprudenti. Contano sul fatto che se qualcosa andasse storto noi le salveremmo, ma la prossima volta ciò potrebbe non accadere.

Fin dalla crisi finanziaria del 2008, i nostri politici sono andati in giro proclamando che non avranno pace finché non avranno risolto il problema delle banche "troppo grandi per fallire", ma invece di risolverlo quelle banche sono rapidamente diventate ancora più grandi. Basta controllare i numeri seguenti, che provengono dal Los Angeles Times ...
Appena prima della crisi finanziaria, Wells Fargo & Co. aveva un patrimonio di 609 miliardi di dollari. Ora ha 1400 miliardi dollari. Bank of America Corp. aveva un patrimonio di 1.700 miliardi di dollari. Ora sono 2.100 miliardi.
E gli asset di JPMorgan Chase & Co., la più grande banca della nazione, sono lievitati a 2.400 miliardi di dollari da 1.800.

Stiamo assistendo ad un consolidamento del settore bancario che è assolutamente incredibile. Centinaia di banche più piccole sono state inghiottite da questi colossi, e milioni di americani stanno scoprendo che essi devono avere a che fare con questi colossi bancari sia che lo vogliano o no.
Anche se tutto quello che fanno è far girare il denaro, queste banche sono diventate il cuore del nostro sistema economico, e stanno crescendo ad un ritmo sorprendente. I seguenti numeri provengono da un recente articolo della CNN ...

 
[Nella tabella di destra l'andamento dei profitti delle banche americane. Smetnendo i pronostici degli analisti, stanno tornano ai livelli pre-crack]
 
- Gli asset delle sei maggiori banche degli USA sono cresciuti del 37% negli ultimi cinque anni.
- Il sistema bancario statunitense ha 14.400 miliardi di dollari in attività totali. Le sei banche maggiori ora rappresentano il 67 % di tali attività e le altre 6.934 banche rappresentano solo il 33 % di tali attività.
- Circa 1.400 banche minori sono scomparse negli ultimi cinque anni.
- JPMorgan Chase ha le dimensioni di tutta l'economia britannica.
- Le quattro maggiori banche hanno più di un milione di dipendenti messi insieme.
- Le cinque banche più grandi erogano il 42% di tutti i prestiti negli USA.

Come ho discusso in precedenza, senza queste banche giganti non c'è economia. Non avremmo dovuto mai permettere che questo accadesse, ma ora che è successo è indispensabile che gli americani capiscano che il potere di queste banche è assolutamente travolgente...
Un terzo di tutti i prestiti alle imprese di quest'anno sono state fatte da Bank of America. Wells Fargo finanzia quasi un quarto di tutti i prestiti ipotecari. E nelle casse della JPMorgan Chase sono custoditi 1.300 miliardi dollari, cioè il 12% di tutto il nostro denaro, compresi i libri paga di molte migliaia di aziende, o abbastanza per comprare 47.636.496.885 tostapane con il logo delle squadre NFL. Grazie ai vostri affari!

Un sacco di persone tendono a concentrarsi su molte delle altre minacce per la nostra economia, ma la principale minaccia che la nostra economia si trova ad affrontare è il potenziale fallimento delle banche troppo grandi per fallire. Come abbiamo visto nel 2008, quando iniziano a perdere colpi le cose possono peggiorare molto velocemente. . E come ho scritto tante volte, la minaccia principale per le banche troppo grandi per fallire è la possibilità di una crisi dei derivati.

Nomi Prins, ex banchiere di Goldman Sachs e autore di best seller, ha recentemente detto a Greg Hunter di USAWatchdog.com che l'economia globale "potrebbe implodere e avere gravi conseguenze sul sistema finanziario che iniziano con i derivati e si espandono al resto". È possibile guardare il video completo di quell'intervista qui.

E Nomi Prins ha perfettamente ragione. Proprio come abbiamo visto nel 2008, un panico sui derivati può finire molto rapidamente fuori controllo. Le nostre grandi banche dovrebbero aver imparato la lezione del 2008 e avrebbero dovuto notevolmente ridimensionare le loro scommesse sconsiderate.

Purtroppo, ciò non è accaduto. Infatti, secondo l'ultimo rapporto trimestrale dell'OCC su trading bancario e strumenti derivati, le grandi banche sono diventate ancora più spericolate dall'ultima volta che ho scritto sull'argomento. Le seguenti cifre riflettono le nuove informazioni contenute nell'ultimo rapporto OCC ...

JPMorgan Chase

Attività totali: $ 1,948,150,000,000 (poco più di 1.900 miliardi di dollari)
L'esposizione totale in derivati : $ 70,287,894,000,000 (più di 70.000 miliardi di dollari)

Citibank

Attività totali: $ 1,306,258,000,000 (un po' più di 1.300 miliardi di dollari)
L'esposizione totale in derivati : $ 58,471,038,000,000 (più di 58.000 miliardi di dollari)

Bank Of America

Attività totali: $ 1,458,091,000,000 (un po' più di 1.400 miliardi di dollari)
L'esposizione totale in derivati : $ 44,543,003,000,000 (più di 44.000 miliardi di dollari)

Goldman Sachs

Attività totali: $ 113,743, 000,000 (poco più di 113 miliardi di dollari - sì, avete letto bene)
L'esposizione totale in derivati : $ 42,251,600,000,000 ( più di 42.000 miliardi di dollari )
Ciò significa che l'esposizione totale che Goldman Sachs ha in contratti derivati è più di 371 volte maggiore rispetto al loro patrimonio complessivo.

Come nel mondo qualcuno può dire che Goldman Sachs non sia incredibilmente scriteriata?
E ricordate, la stragrande maggioranza di questi contratti derivati sono strumenti derivati su tassi di interesse.
Forti oscillazioni nei tassi di interesse potrebbero scatenare questa bomba e fare in modo che il nostro intero sistema finanziario precipiti nel caos.
Per il momento i rendimenti dei titoli del Tesoro USA a 10 anni si sono stabilizzati, dopo essere cresciuti rapidamente per un paio di mesi.
Ma questo cambierebbe se i tassi di interesse cominciassero a salire di nuovo drammaticamente, diventerebbe un problema enorme per le banche troppo grandi per fallire.
So che molti di voi non hanno molta simpatia per le grandi banche, ma ricordate che, se crollano, crolliamo anche noi.

Queste banche sono state incredibilmente scriteriate, ma se fallissero, tutti ne pagheremmo il prezzo».


* Fonte: ComeDonChisciotte.org
** Fonte otiginaria: http://theeconomiccollapseblog.com
Link: http://theeconomiccollapseblog.com/archives/too-big-to-fail-is-now-bigger-than-ever-before
20.09. 2013 

*** Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di REMULAZZ

venerdì 27 settembre 2013

SETTE GRANDI TRASFORMAZIONI della Segreteria nazionale del MPL

27 settembre. Il giudizio della Segreteria nazionale del Mpl sul marasma politico e l'autunno, speriamo caldo, che ci aspetta.

«Che il governicchio Napolitano-Letta si reggesse in piedi con le stampelle era chiaro.
La mossa delle dimissioni in blocco dei parlamentari berlusconiani sottrae al governo quella senza la quale non può continuare nemmeno a trascinarsi.
Stefano Folli, editorialista de Il Sole 24 Ore, di solito non ne acchiappa una, ma questa volta fotografa bene il marasma che afferra i palazzi romani del potere e quindi lo sgomento che assale le classi dominanti. 

Sentiamo:
«Se Berlusconi volesse aprire la crisi, avrebbe un'arma semplice e definitiva a sua disposizione: far dimettere i ministri del centrodestra presenti nel ministero Letta. Viceversa preferisce una strada tortuosa e devastante, forse peggiore di quella che porterebbe alla caduta immediata del governo. (...) È una mossa che cambia lo scenario e rischia di travolgere tutti gli equilibri. Il presidente del Consiglio è negli Stati Uniti a raccontare che l'Italia è sulla via della ripresa e viene pugnalato alla schiena senza tanti complimenti. (...) Ecco allora che torna la ricorrente tentazione di rovesciare il tavolo, chiedendo poi agli elettori di smentire con il voto il verdetto dei magistrati. Eppure questa è a sua volta un'azione eversiva, di proporzioni senza precedenti: per cui rischiamo di avere una campagna distruttiva su tutti i piani. Proprio nel momento in cui – drammatica coincidenza – si chiede il massimo di stabilità. (...) Ma la situazione è così fragile che l'ennesimo scossone, come abbiamo visto, potrebbe essere fatale. Ovvero lasciare in campo un governo disalberato come un antico galeone dopo la battaglia. (...) Ma è difficile dire se ci sia una vera strategia dietro queste mosse. Di sicuro al fondo c'è una sfida al Quirinale: l'improvviso e implicito rifiuto di considerare Napolitano il garante delle istituzioni. E questo è l'aspetto più pericoloso della vicenda. Il logoramento è arrivato al massimo livello». [L'Aventino della destra, Il Sole 24 Ore del 26/9/13]
Se non la mera disperazione ma un calcolo politico presiede alla mossa di fare un Aventino, questo consiste nel precipitare i tempi dello scontro elettorale, affinché si voti col sistema vigente. La ragione è semplice: l’ingovernabilità persisterebbe e i berluscones, stante un M5S per fortuna indisponibile ad ogni inciucio con le cosche politiche euriste, rimarrebbero l’ago della bilancia per formare il governo.

Il fatto è, come abbiamo segnalato giorni addietro, che per conto delle classi dominanti europee ed italiane, Napolitano, in nome della stabilità, le farà di tutti i colori pur di evitare elezioni anticipate col Porcellum. Con qualche Scilipoti preso in prestito a destra e a manca una maggioranza senza Forza Italia è teoricamente possibile.

Prive della spinta di un conflitto sociale degno di questo nome, le forze antagoniste, noi compresi, boccheggiano, e non hanno serie possibilità di giocare un ruolo di peso. Ciò non può giustificare una posizione indifferentista. Tutto possiamo augurarci, in queste condizioni, meno che la vittoria delle forze stabilizzatrici, che fanno perno politicamente sul Pd. Se è vero che solo una sollevazione popolare può invertire la situazione, il realismo ci dice che l’instabilità politica e istituzionale è preferibile, per il principio della correlazione inversa, alla stabilità tanto anelata dai dominanti.

E’ entro questo quadro che diverse componenti dell’estrema sinistra sociale hanno indetto una settimana di lotta dal 12 al 19 ottobre, che incorporerà lo sciopero generale del sindacalismo di base e culminerà nel cosiddetto “assedio” al Ministero dell’Economia di via XX Settembre e a quello delle Infrastrutture. 


Come Mpl aderiamo a questa settimana di lotta e al corteo nazionale del 19 ottobre. Il nostro Coordinamento nazionale deciderà, tenendo conto delle nostre ancora modeste forze, le modalità di questa partecipazione. Di sicuro ci auguriamo che la settimana di lotta, lo sciopero del sindacalismo di base e la manifestazione nazionale del 19 ottobre siano un successo, nella speranza che, se non la miccia del conflitto generale, possano dargli una spinta.

Noi aderiamo convinti non senza denunciare i limiti politici delle piattaforme su cui i promotori chiamano i cittadini alla lotta. Richieste come reddito, salari e pensioni decenti, la fine della precarizzazione, il diritto alla casa e alla salute, lo stop alle privatizzazioni e la difesa dei beni comuni, sono tutte rivendicazioni antiliberiste sacrosante. 

Il che non ci fa fare però un passo avanti rispetto a quello che più volte abbiamo chiamato “sindacalismo sociale”. Non è ammissibile che nulla si dica sulla necessità di uscire dalla gabbia dell’euro(pa), che non si indichino le grandi misure sociali e politiche necessarie affinché le richieste non restino piè intenzioni. Noi aderiremo dunque ma portando la nostra propria piattaforma: che insiste sulla necessità di costruire un ampio fronte popolare che sull’onda di una sollevazione generale dia i natali ad un governo d’emergenza che applichi sette misure imprescindibili, SETTE GRANDI TRASFORMAZIONI:
(1) Ripudio del debito verso la grande finanza speculativa e bancaria, internazionale e italiana.

(2) Uscire in modo programmato dall’euro e dall’Unione europea, per riconquistare la sovranità politica e monetaria, attraverso la reintroduzione della lira.

(3) Svalutare in modo equilibrato la nuova lira per investire nell’industria e nell’agricoltura imponendo opportuni dazi su tutti i prodotti di importazione affinché sia riportata in attivo la bilancia dei pagamenti. Introdurre contestualmente una scala mobile integrale dei salari.

(4) Trasformare e nazionalizzare il sistema bancario e assicurativo in modo da bloccare le banche d’affari che utilizzano i depositi e i risparmi dei cittadini nel gioco d’azzardo dei mercati finanziari internazionali.

(5) Adottare un piano di nazionalizzazione degli enti che operano nei settori strategici di interesse nazionale: energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni.

(6) Stabilire un piano nazionale per il lavoro, mettendo al centro la tutela dell’ambiente, del paesaggio, dei beni artistici, della salute e della scuola.

(7) A partire dallo spirito originario della Costituzione italiana, promuovere un'Assemblea Nazionale Costituente al fine di riconquistare un’effettiva sovranità popolare.

Da questo punto di vista ci convince ancora meno la manifestazione indetta per il 12 ottobre dall’assemblea svoltasi l’8 settembre a Roma da personaggi come Landini, Rodotà, ecc. La piattaforma di questa manifestazione si riduce a questa parola d’ordine: “difendere e applicare la Costituzione”. Certo occorre difendere la Costituzione dagli assalti, ma farne una specie di Talmud, questo non ci convince per niente. Ma il punto è che questa manifestazione non è stata indetta per chiamare davvero il popolo lavoratore alla lotta. E’ stata indetta allo scopo di costruire un contenitore per risvegliare all’impegno e ficcarci dentro tanti cittadini di sinistra disillusi dopo le ultime batoste. Meglio di niente si dirà. Il problema è che, dati i costruttori di questo contenitore, non c’è alcun dubbio sul fatto che esso agirà come ruota di scorta del Partito democratico, ciò malgrado questo partito sia stato e sia uno dei principali “picconatori”.
Una ragione più che sufficiente per restarsene a casa il 12 ottobre». 


La Segreteria nazionale del Mpl
26 settembre 2013

giovedì 26 settembre 2013

GRILLO: FACCIAMO SUL SERIO?

26 settembre. Grillo ha scritto: «La bomba sociale degli ultimi sta per scoppiare».
Ci sono lettori che non ci hanno perdonato il fatto che demmo indicazione di voto per per M5S. Inammissibile, per loro votare per una forza "populista, reazionaria e con una direzione carismatica".  Sette mesi dopo le elezioni queste accuse si sono dimostrate ampiamente infondate. Si può discutere di concetti come populismo e carisma, ma di certo M5S non è un movimento reazionario. Non è che a noi sfuggano i limiti macroscopici di M5S. Uno di questi è che alle parole non seguono i fatti. M5S non è un movimento politico in carne ed ossa, si agita anzitutto nel mondo virtuale del Web e fa della "democrazia diretta" ma "digitale" un dogma. M5S pare del tutto incapace di essere un fattore di mobilitazione delle masse indignate, quelle che pare voler rappresentare, ma che non cerca di farle entrare in azione.
Ieri Beppe Grillo ha pubblicato sul suo blog un pezzo che ci pare importante segnalare. Ne consigliamo la lettura.


«Cinque milioni di italiani sono sotto la soglia di povertà, persone che non hanno le risorse per vivere. Gli indigenti sono raddoppiati dal 2007. A loro non pensa nessuno. Stiamo diventando un Paese di miserabili. Gli extracomunitari siamo noi. A quando i barconi in partenza dall'Italia per le coste dell'Africa o del Medio Oriente? In Italia non esiste, come negli altri Paesi della UE, un reddito di cittadinanza. Lo Stato, anche se hai pagato le tasse e i contributi per decenni ti lascia morire se perdi il tuo lavoro. La spesa per il cibo e le bevande è crollata ai valori di vent'anni fa. Si ruba per mangiare come ai tempi di guerra. In alcuni supermercati hanno introdotto alle casse una bilancia per frutta e verdura sfusa. Non si fidano dei clienti che introducono nel sacchetto una mela o un cavolfiore in più dopo aver pesato per risparmiare pochi centesimi. I supermercati sono diventati come le banche. All'ingresso ci sono guardie giurate che ti guardano con sospetto. Neppure loro però possono nulla contro chi mangia direttamente in corsia, chi ingurgita veloce un pezzo di formaggio o una salciccia, magari rifugiandosi in bagno. Non c'è il corpo del reato. Non è possibile accusarlo di nulla e l'esame delle feci non è una prova assoluta. Per evitare l'esproprio alimentare stanno aumentando le telecamere. Il cliente è ormai controllato passo dopo passo. Si prospettano in futuro bilance all'ingresso e all'uscita dove ci si dovrà pesare. Se il peso aumenta di qualche grammo o di qualche etto sei arrestato, ma in galera almeno ti sfamano. La bomba sociale degli ultimi sta per scoppiare. A un uomo puoi chiedere tutto, ma non di non lasciare la sua famiglia senza cibo. Quanti milioni di affamati sono necessari prima di una rivoluzione? Il 13% dei pensionati, quasi due milioni e mezzo, riceve meno di 500 euro al mese. La pensione minima è di 495,43 al mese mentre vengono erogati miliardi di euro in pensioni d'oro. E' una follia, una provocazione che sta diventando intollerabile. Il conto alla rovescia è incominciato. Ripeto. Il conto alla rovescia è incominciato».

mercoledì 25 settembre 2013

la sinistra e l'euro (4) «LA DOPPIA ILLUSIONE» di Emiliano Brancaccio


25 settembre. L'intervento di Emiliano Brancaccio al convegno della CGIL "Produzione di lavoro a mezzo di lavoro", svoltosi a Roma il 19 settembre scorso. Brancaccio mette in guardia, visto il rischio di deflagrazione dell'eurozona, da due illusioni, entrambi di natura liberista: l'invocazione del  "vincolo esterno" e quella sul potere taumaturgico del "cambio flessibile".

«Probabilmente Guido Carli non avrebbe gradito il titolo di questo convegno: “Un grande piano del lavoro per uscire dalla crisi”. E’ noto infatti che Carli fu uno dei più accaniti oppositori delle logiche di “piano”; un oppositore tenace, in un’epoca in cui la “pianificazione” andava indubbiamente di moda. Carli tuttavia non somigliava molto ai rozzi propagandisti del nostro tempo. Anzi, egli ammise in più occasioni, in termini più o meno espliciti, che il piano può costituire una modalità di governo dell’economia assolutamente moderna. 

Carli in particolare sosteneva che una politica fondata su una legislazione vincolista, sul controllo amministrativo, sull’azione di governo finalizzata alla gestione degli scambi e della produzione, in ultima istanza una politica ispirata da una logica di piano, per essere attuata necessita di uno Stato efficiente, di uno Stato ben strutturato, di uno Stato moderno. Come per esempio egli riteneva che fosse l’apparato statale francese. Al contrario, per Carli, una politica liberista, di completa liberalizzazione dei mercati, costituisce l’unica soluzione possibile per gli apparati statali inefficienti, antiquati, disastrati. Come egli riteneva essere lo Stato italiano [1]. Dunque, potremmo dire: il piano come possibilità dei moderni. E il liberismo come necessità degli antiquati. 

La tesi di Carli in Italia è stata pervasiva. Una logica di piano, o anche solo una logica di politica economica che vagamente evocasse il piano, in Italia è stata quasi sempre messa ai margini del discorso politico con argomentazioni simili a quelle di Carli: si è ritenuto cioè che il nostro Stato fosse troppo inefficiente, e che dunque persino il più blando dei piani da noi non avrebbe mai funzionato. 


Il fatto che in Italia vi sia stata tutta questa sfiducia nella possibilità di mettere realmente in funzione la macchina dello stato, il fatto che sia maturato una sorta di tabù verso qualsiasi ipotesi che potesse rafforzare lo Stato, che potesse anche solo lontanamente evocare una logica di piano, questo fatto ha generato un vuoto. Un vuoto che è stato colmato da una serie di pie illusioni. 


Una tipica illusione di successo è stata la grande fiducia nel cosiddetto “vincolo esterno”. Si tratta di una espressione guarda caso ancora una volta di Carli, che è stata poi declinata in termini talvolta raffinati, talvolta estremamente rozzi, da vari protagonisti della vita istituzionale e politica italiana. Protagonisti al governo del paese, così come ai vertici di Bankitalia. I fautori del vincolo esterno ci dicevano in buona sostanza che i vincoli imposti dall’Europa sul governo della moneta, sui bilanci pubblici, sui tassi di cambio, eccetera, avrebbero miracolosamente trasformato i piccoli ranocchi del frammentato stagno capitalistico italiano in algidi principi della modernità, in vere e proprie avanguardie del capitalismo moderno. Insomma, modernizzare il capitalismo italiano, renderlo più centralizzato e quindi più forte: alcuni padri della patria si sono sinceramente illusi che il vincolo esterno potesse fare tutto questo. 


Oggi possiamo affermare che non è andata esattamente così. Anzi, per certi versi la dinamica del capitalismo italiano è andata in direzione esattamente opposta. I piccoli proprietari, i ranocchi, anziché evolvere, anziché diventare principi, si sono in realtà difesi dal vincolo esterno rafforzando un blocco sociale fautore delle prebende dello Stato, del lassismo in campo fiscale e contributivo, della precarizzazione del lavoro. In chiave più strettamente politica, potremmo affermare che la resistenza, la virulenza del blocco sociale berlusconiano – che naturalmente sopravviverà a Berlusconi – è esattamente il prodotto del fallimento dell’ideologia del vincolo esterno. 


Eppure, il palesato fallimento dell’ideologia del vincolo esterno non ci sta affatto portando a discutere della necessità di superare i vecchi tabù e di riprendere il tema della modernizzazione e del rafforzamento dell’apparato dello stato ai fini dell’avvio di una seria politica industriale, di programmazione, di una pur accennata logica di piano. Non sta avvenendo nulla di tutto questo. Piuttosto, in Italia rischiamo di passare dalla illusione del vincolo esterno a una illusione esattamente speculare: quella secondo cui il ritorno ai cambi flessibili costituirà la panacea di tutti i nostri mali. In fin dei conti è sempre il vecchio liberismo secondo Carli: una idea disincantata di liberismo come necessità degli antiquati, come unica chance per il nostro capitalismo un po’ straccione, e per il nostro Stato disastrato. Solo che ora si tratta di un liberismo speculare, che alla ideologia del vincolo esterno potrebbe sostituire l’ideologia del cambio flessibile. Del resto, che la tesi del cambio flessibile sia destinata a recuperare gli antichi fasti, che sembri destinata ad avere rinnovato successo politico nel nostro paese, lo si deve a un motivo in fondo semplice: l’attuale assetto della zona euro resta tuttora tecnicamente insostenibile. 


Dunque, anche per cercare di uscire da questa diatriba tra illusioni speculari, per cercare di smarcare il discorso politico da questo liberismo duale, un po’ maniacale, oserei dire un po’ italiota, io credo sia positivo che la CGIL, la principale organizzazione sindacale del paese, si faccia carico di recuperare un discorso sul “piano”. Sul “piano del lavoro” [2].
Questa idea, di modernità di una logica di “piano” – sia pure, beninteso, un piano morigerato, tra molte virgolette – questa idea rappresenta io credo una opportunità per cercare di produrre un avanzamento dialettico rispetto a una discussione che altrimenti rischia di rimanere totalmente prigioniera delle illusioni speculari del vincolo esterno da un lato e del cambio flessibile dall’altro. 


Ovviamente, qualsiasi discorso che possa anche solo vagamente accennare a una logica di piano, o quanto meno a una logica che miri alla messa in funzionamento dell’amministrazione dello stato per fini di politica economica, qualsiasi discorso del genere non può prescindere dai legami con l’assetto macroeconomico [3]. 


Sotto questo aspetto io vedo due rischi. 

Uno è quello di pretendere di restare nei vincoli dati. Illustri colleghi hanno suggerito negli ultimi tempi linee di indirizzo di politica economica che in quanto tali sono senz’altro innovative, modernizzatrici, ma che pretendono di dispiegarsi nell’ambito angusto e mortifero dei vincoli di bilancio del Fiscal Compact. Ecco, io mi permetto di nutrire un certo scetticismo nei confronti di queste pretese, e in generale di qualsiasi tentativo di modernizzare il capitalismo italiano entro quei vincoli. Questo modo di ragionare rischia in realtà di affossare qualsiasi tentativo di superamento della dicotomia liberista tra l’illusione del vincolo esterno e l’illusione del cambio flessibile. 


C’è tuttavia anche un altro rischio. E’ il rischio di trascurare dei vincoli che esistono di fatto, e che possono piombarci addosso da un momento all’altro. In tal caso non mi riferisco tanto al vincolo di bilancio pubblico. Mi riferisco piuttosto al vincolo della bilancia delle partite correnti. A questo proposito mi pare di rilevare che le stime del CER relative all’applicazione del piano del lavoro della CGIL segnalino almeno nel breve periodo un’impennata del disavanzo verso l’estero [4]. Ecco, questo mi sembra un problema. Nell’attuale assetto dell’eurozona, qualsiasi eventuale impennata del disavanzo verso l’estero, anche se solo temporanea, potrebbe creare grande instabilità. Si capisce allora che il piano del lavoro della CGIL, per essere credibile, deve essere affiancato a un chiarimento sull’eurozona, sul nostro ruolo in Europa. 


A questo riguardo leggo, sempre nel piano, che la CGIL avanza alcune proposte di riforma della politica monetaria europea. Sono proposte senz’altro ragionevoli, che si aggiungono alle molte altre discusse in varie sedi in questi anni. Io credo tuttavia che il principale sindacato italiano dovrebbe forse soffermarsi in primo luogo su quelle criticità della zona euro che più direttamente si ricollegano al tema della contrattazione. Per esempio, sarebbe opportuno rimarcare il fatto che tra il 2000 e il 2010 in Germania la crescita dei salari nominali è stata di 15 punti percentuali inferiore rispetto alla crescita salariale media dell’eurozona. 


La Germania, insomma, ha attivato una feroce competizione al ribasso sui salari relativi. Questo è stato senza dubbio uno dei fattori chiave della crescita degli squilibri nei conti esteri intra-europei, e costituisce probabilmente uno dei fattori che potrebbe condurre alla distruzione della zona euro. In questi anni sono state avanzate varie proposte per cercare di affrontare questo problema. Tra di esse c’è lo “standard retributivo europeo” [5], che è stato inserito in vari manifesti politici e che la stessa CGIL ha fatto proprio in una recente audizione al CNEL. Ad ogni modo, la scelta della specifica modalità tecnica di risoluzione del problema non è il punto essenziale. L’importante, io credo, è che il sindacato affronti a viso aperto il nodo che più direttamente lo coinvolge: la contrattazione salariale è uno dei fattori chiave della crisi dell’unione monetaria europea.

Infine, sempre allo scopo di tenere ben saldo il legame tra piano del lavoro e quadro macroeconomico, occorre tener presente che ognuna delle proposte di riforma avanzate, siano esse nel campo della politica monetaria o della contrattazione salariale, oggi non trovano alcuno spazio politico per essere sviluppate. La Germania si oppone alle riforme, e vi si opporrà anche nel prossimo futuro, temo. Ciò significa che la zona euro continuerà a muoversi lungo un sentiero insostenibile. Per questo motivo credo sia bene tenere a mente che, in caso di deflagrazione dell’Unione, esistono modalità alternative di affrontarla. 


Adoperando espressioni che ultimamente sembrano infastidire alcuni apologeti di un ingenuo interclassismo ma che restano oggettivamente valide ed efficacemente sintetiche, potremmo dire che esistono modi “di destra” e modi “di sinistra” di gestire una uscita dall’euro. Ma di questo, credo, avremo modo di riparlare».

NOTE:

[1] Carli, G. (1996). Cinquant’anni di vita italiana. Laterza, Roma-Bari.

[2] CGIL (2013). Il piano del lavoro. Conferenza di programma, 25-26 gennaio.

[3] Gruppo di lavoro del CER (2013). Simulazioni di impatto di politiche fiscali alternative, in Pennacchi, L. (a cura di). Tra crisi e “grande trasformazione”. Libro bianco per il Piano del lavoro 2013, Ediesse (p. 602).

[4] Brancaccio, E., Passarella, M. (2012). L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa. Il Saggiatore, Milano.

[5] Brancaccio, E. (2012). Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a ‘European wage standard’, International Journal of Political Economy, 2.

martedì 24 settembre 2013

MARCIA DELLA DIGNITÀ

25 settembre.
Un comitato di lotta di cittadini umbri sorto nelle settimane scorse organizza per il prossimo 9 novembre la MARCIA DELLA DIGNITÀ
Più sotto il volantino con cui si annuncia la Marcia. Nel video la portavoce della Marcia, Daniela Di Marco. 


NOI SIAMO
quelli che hanno perso il lavoro o non riescono a trovarlo
quelli con salari e pensioni da fame
quelli che hanno dovuto chiudere bottega
quelli vessati dalle banche e da uno stato strozzino
quelli sperano di cambiare questo mondo infame
STUFI
di fare sacrifici mentre i ricchi diventano più ricchi
di politici venduti ai banchieri il cui solo Dio è il denaro
di un sistema fondato sull'egoismo, l'ingiustizia e la truffa
di vedere il nostro paese morire in nome dell'Euro(pa)

DECIDI ANCHE TU DI ALZARE LA TESTA!
partecipa alla
marcia della dignità

Perugia 9 novembre 2013
Partenza: ore 15:00 da Ferro di Cavallo (giardinetti di Via Gregorovius)
Arrivo: ore 17:30 a P.zza IV Novembre

PER INFORMAZIONI E ADESIONI
tel: 339.2071977
sito: marcia della dignità
https://www.facebook.com/marcia.delladignita






la sinistra e l'euro (3) «LA SOVRANITÀ MONETARIA NON BASTA» di L.U.P.O. *

24 settembre. «Siamo contro questa Europa almeno dal 1992, dal trattato di Maastrich; allora ci siamo opposti a quella costruzione indicando quei motivi che oggi si sono ampiamente realizzati. Inascoltate Cassandre a sinistra, dove si vagheggiava di un Europa dei popoli che in vent’ anni non si è mai vista, realizzandosi invece l’Europa delle banche, la costruzione subimperialsita (voluta, eccome, dagli Usa) che doveva concentrare capitali nella Germania e nel centro nord, trasformando i paesi del sud nel meridione dell’Unione Europea.

A sinistra si ragionava così per malafede o per frainteso internazionalismo, confondendo l’internazionalismo proletario con la globalizzazione imperialista, o sperando in una immancabile successione deterministica. Ma più spesso era la malafede, specialmente nel nostro paese, dove i governi di centro sinistra hanno posto gli architravi tanto delle misure liberiste quanto delle servitù euriste e dove la sinistra cosiddetta radicale o alternativa non è mai stata in grado di tagliare il cordone ombelicale con il perno di questo centrosinistra: quel pds-ds-pd che ha degnamente espresso un premier come Prodi (presidenza e privatizzazioni I.R.I. e presidenza Commissione Europea)

Ancora Il tabu dell’euro persiste a sinistra mentre sembra oramai rimosso, soprattutto, in certe posizioni prevalentemente di destra. Cominciano a venir fuori posizioni che prendono in considerazione l’uscita dalla moneta unica e acquistano anche visibilità mediatica. In Germania si fa strada una formazione che vuole l’uscita dei tedeschi, dall’”alto”, per non invischiarsi nei debiti degli altri ; queste posizioni sicuramente non porteranno nulla di buono se prendessero corpo, cosa peraltro probabile. Abbiamo sempre sostenuto la necessità alla sovranità monetaria, ma essa da sola, ovviamente, non basta ad affrontare la crisi nell’interesse delle classi popolari.

Essa va accompagnata da altre misure ma anche queste, prese in se possono avere una connotazione reazionaria ed antipopolare, consentendo alle forze del capitalismo nazionale di proseguire ed accentuare le politiche liberiste in vigore da oltre un ventennio, senza invertire sulle privatizzazioni ma nazionalizzando soltanto i settori utili a garantire strutture e servizi alle loro attività di fondamentali subappaltatori delle economie a moneta forte. Un capitalismo predatorio nazionale non sarebbe necessariamente migliore per i lavoratori o per ridurre la disoccupazione, tantomeno per salvare i patrimoni nazionali, le attività a rischio dismissione, le imprese ed i beni pubblici che potrebbero diventare saldi in svendita per acquisizioni estere.

Il ritorno alla moneta nazionale per noi simboleggia e presuppone la sovranità nazionale, ma declinata nel senso della sovranità popolare. Deve necessariamente accompagnarsi ad un programma di nazionalizzazioni, di tutto ciò che concerne la proprietà strategica, del sistema bancario, delle aziende chiuse o intenzionate a delocalizzare, per garantire l’occupazione, reddito e servizi a quei ceti in costante espansione che ne vengono privati man mano che si approfondisce la crisi sistemica.

Ma questo non basta ancora; si tratta di garantire lavoro e reddito anche per produzioni meno competitive rispetto a quelle prodotte dove manodopera e vincoli ambientali e sociali costano meno, quindi occorre sollevare gli scudi del protezionSiamo contro questa Europa almeno dal 1992, dal trattato di Maastrich; allora ci siamo opposti a quella costruzione indicando quei motivi che oggi si sono ampiamente realizzati. Inascoltate Cassandre a sinistra, dove si vagheggiava di un Europa dei popoli che in vent’ anni non si è mai vista, realizzandosi invece l’Europa delle banche, la costruzione subimperialsita (voluta, eccome, dagli Usa) che doveva concentrare capitali nella Germania e nel centro nord, trasformando i paesi del sud nel meridione dell’Unione Europea.

Le misure suddette, oltre a quelle protezionistiche andrebbero concordate con altri paesi colpiti più duramente dalla crisi e dalle politiche di austerity, specialmente quelli euro mediterranei, i quali dovrebbero formare un fronte politico comune e adoperarsi per un mercato di rapporti e scambi privilegiati, qualcosa di vicino all’Alba bolivariana. Magari nella prospettiva di arrivare ad una nuova moneta comune (il Med?) ma dopo aver uniformato queste scelte, le politiche del lavoro, quelle fiscali, il modello sociale, insomma dopo aver avviato un processo di economia socializzata; chiamiamolo pure di nuovo socialismo.

Se ci è chiaro il percorso, quali provvedimenti e come declinarli, per combattere la crisi sistemica in senso socialista e sovranista-progressista e non nazional-reazionario ci è altrettanto chiaro che non si intravede all’orizzonte il soggetto politico che può realizzarlo.

Lo scorso anno realizzammo una iniziativa simile a questa, con Rizzo al posto di Cremaschi;allora il movimento No-debito era rappresentato dal compagno Soprani. Lasciamo perdere le scelte passate; potremmo oggi essere d’accordo con le posizioni di Rizzo ma la sua idea di partito ci pare abbia scarse possibilità di interagire con le dinamiche odierne, non basta sedersi a tavolino e proclamarsi partito comunista. Lo fanno già troppi, chi per settarismo autoreferenziale chi con eroica generosità ma il processo attraverso cui ricostruire - dalle macerie che ci ha lasciato il crollo del muro di Berlino e la successiva subalternità alle soluzioni social-iberiste di quanti hanno tentato di rifondare partiti comunisti di massa - non è così semplice. Una forte organizzazione comunista e popolare nasce da una complessità di fattori storici e soggettivi, oltre che dal fuoco del conflitto reale. Oggi rischiamo che il fuoco divampi prima che si formi il soggetto in grado di dirigerlo e che addirittura bruci chi ci provasse da posizioni velleitarie.

Il motivo di questi incontri** è per noi anche occasione di elaborare dei punti fermi e condivisii, portare i compagni al confronto su questioni da noi ritenute decisive per costruire un soggetto multiplo, in forma federata o ancor meglio di fronte. Un fronte popolare e proletario che non è bell’è pronto come pensa chi lo scorge in Grillo, anche se lo stesso movimento 5 stelle potrebbe divenire un interlocutore, quando dovrà abbandonare il suo isolazionismo e decidere se continuare a rappresentare i ceti piccolo-borghesi indignati o gli strati popolari impoveriti. Un soggetto di fronte popolare che auspichiamo possa far da levatrice alla organizzazione comunista». 


* L.U.P.O. sta per Lotta di Unità Proletaria di Osimo. 
** Incontro svoltosi anche quest'anno il 20 e 21 settembre

lunedì 23 settembre 2013

ELEZIONI IN GERMANIA: LA CORRELAZIONE INVERSA


23 settembre. Sono giunti i risultati delle attese e decisive elezioni parlamentari tedesche (vedi tabelle). I democristiani hanno vinto, ma non stravinto. I due partiti fratelli coalizzati della Merkel hanno sì raggiunto il 41,5%, ma a ben vedere anzitutto cannibalizzando i tradizionali alleati liberali, che per la prima volta nella storia non entrano nel Bundestag. Sta di fatto che la "mammina" (così i media tedeschi chiamo la Merkel), a meno che non voglia andare a nuove elezioni, dovrà formare un governo coi socialdemocratici. 

Il Primo ministro Letta, ostentando un insopportabile servilismo, si è immediatamente felicitato con la cancelliera tedesca: "ha vinto la linea europeista" ha affermato. Certo, ma ha vinto la linea eurista dura, quella che continuerà ad imporre ai paesi "periferici" piani draconiani di austerità e di rigore. Per greci, italiani, spagnoli, portoghesi ma anche francesi, la vittoria della Merkel non promette quindi nulla di buono.

Un risultato ampiamente atteso, visto che tutto il mondo della grande finanza e della grande industria tedesche, schierati per difendere l'euro con tutti i suoi effetti collaterali, erano e sono con la Merkel. 

Alternativa per la Germania (AfD) non ha superato la soglia di sbarramento del 5%, ma l'ha sfiorata e, a giusto titolo festeggia, poiché due milioni e passa di voti non sono affatto pochi. Una spina nel fianco del prossimo governo tedesco, che sarà spinto a seguire la sua linea dura rispetto ai paesi che chiedono un allentamento delle selvagge politiche di austerità. Senza dimenticare che fra poche settimane la Corte costituzionale tedesca emetterà sentenza rispetto alle operazioni Omt (acquisto di titoli di debito dei paesi sull'orlo del default) decise dalla Bce di Draghi.

Niente male, tutto sommato il risultato della Linke (al cui interno si allarga la linea critica dell'euro dopo le prese di posizione di Lafontaine), che cala rispetto al 2009, ma recupera ampiamente rispetto alle recenti tornate elettorali regionali. Un voto, quello alla Linke, ottenuto anzitutto tra i settori proletari giovanili sfruttati coi minijob sulle cui spalle si è retta la "crescita" tedesca (ora boccheggiante).

C'è da scommettere che la vittoria della Merkel accrescerà le tensioni politiche italiane e farà traballare ulteriormente le "larghe intese". Più in generale si può affermare che c'è una correlazione inversa tra la stabilità politica tedesca e quella dei "periferici": più stabile è il sistema politico e sociale tedesco, meno lo saranno quelli del Sud Europa.

Vai all'articolo di Leonardo Mazzei:  MERKELANDIA

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