mercoledì 31 gennaio 2018

TONI NEGRI: VANITÀ PER NIENTE GIUSTA

[ 31 gennaio 2018 ]

Ogni tanto ci siamo occupati di Toni Negri, a volte contestando la sua visione teorica, altre per segnalare le sue piroette europeiste. Ne segnaliamo tre: QUI, QUI e QUI.
Da un po' di tempo Negri era sparito dai monitor.
E' riapparso l'altro ieri con un'intervista rilasciata a Vanity Fair, che gli ha dato questo titolo: «Auspico che Bruxelles prenda le redini del Governo italiano».
Dice anche di peggio. Leggere per credere....


«Mi auspico che Bruxelles prenda le redini dell’Italia dopo il 4 marzo. Non lo desidero, per me la burocrazia europea è il grande nemico. Però è meglio avere qualcosa, che il nulla più completo. Angela Merkel, fatti avanti…». 

Toni Negri ha le idee chiare per quello che si augura dopo le elezioni politiche italiane. L’attivista e filosofo italiano, 84 anni, parla dalla sua Parigi, città in cui ha vissuto ormai gran parte della sua vita, prima come latitante, poi come professore. Da qui ha scritto la sua autobiografia, Galera ed esilio (Ponte alle Grazie, pp. 448, € 19,50), in cui racconta i momenti salienti della sua vita: la fondazione di Potere Operaio, l’avventura di Autonomia operaia, i quattro anni passati a Rebibbia, il processo per insurrezione armata, la condanna per associazione sovversiva e concorso morale, l’uscita dal carcere dopo l’elezione coi Radicali, gli anni in Francia. Adesso, però, il teorico dell’estrema sinistra  italiana pensa che la sinistra italiana non esista più. «Sì è polverizzata. Non è riuscita a inventare il futuro. Ha massacrato tutti quelli che potevano darle una dritta».

A chi si riferisce?
«A noi, alla sinistra degli anni 70».

Lei chi voterebbe?
«Nessuno, mi fa schifo votare questo sistema di partiti. Spero che un Gentiloni o un Padoan di turno prendano in mano il Governo. Altrimenti salta anche l’euro italiano».

Gli ultimi sondaggi indicano i giovani sempre più lontani dalle urne. 
«Viviamo in un torpore politico. Ma attenzione, è sbagliato credere che non ci sarà un risveglio rumoroso».

Un risveglio rumoroso…
«Ci sarà uno scoppio di felicità, di rottura, come c’è stato nel ’68. Ogni 10 anni avvengono dei risvegli: nel 2000 il movimento dei No-Global; nel 2011 quello di Occupy. Tra poco chissà. Il problema è l’organizzazione».

In Italia di movimento c’è quello dei 5 Stelle.
«Ma di cosa stiamo parlando. I Stelle sono delle pulci, dei pidocchietti».

Non rivede in loro la caratteristica dell’attivismo dal basso che lei abbracciò 50 anni fa?
«No, se li immagina per caso condurre uno sciopero selvaggio in fabbrica o un appropriazione in un supermercato?».

Beh, per fortuna rimangono sul terreno della legalità.
«Ma un movimento va oltre la legge, ne costruisce di nuove. È sempre una ricerca di espansione del legale, del diritto».

Le piace la loro proposta del reddito di cittadinanza? 
«È una farsa. Quello che proponevamo noi era universale. Era garantito a tutti, a ricchi e poveri, a disoccupati e lavoratori. Era veramente un reddito che si acquisiva con la nascita, beneficio del lavoro comune. Questo qui proposto è solo un sussidio per i poveri, simile agli 80 euro di Renzi».

Renzi è ancora alla guida del Pd.
«Chi, il marito della Boschi?».

È insidiato a sinistra dall’ex comunista Massimo D’Alema…
«Chi, quello della guerra in Kosovo?».

… e al centro da Di Maio. 
«Che trasparenza…».

Rimane Berlusconi.
«Un vero birbone».

Le sembra quasi simpatico. 
«Quello no. Ma mi dispiace per il modo assurdo in cui è stato trattato. Non sto parlando della sua innocenza o colpevolezza. Dico che se uno è tormentato al di fuori delle ragioni della legge, è sbagliato».


E Berlusconi è stato tormentato? 
«Beh, è stato condannato prima dalla stampa e dagli avversari politici che dai giudici».


Da tifoso sfegatato milanista, le spiace vederlo lasciare i rossoneri?
«No. Speravo che almeno col Milan non si comportasse da padrone bastardo. Invece, non appena non ha più avuto interesse politico a far vincere la squadra, ha smesso di investire la grana. Adesso speriamo nei cinesi».


L’allenatore Gattuso le piace?
«Lui è un calciatore e allenatore operaio. E a me gli operai piacciono tutti».

VIENI AVANTI CRETINO

[ 31 gennaio 2018 ]

«La Grecia volta pagina, si lascia alle spalle la paura, l'oppressione e l'umiliazione e va avanti con speranza e dignità: oggi abbiamo fatto la storia, l'ora della troika è finita, facciamo sorgere il sole sulla Grecia».

Queste le parole che Alexis Tsipras pronunciò la sera del 25 gennaio 2015 alla folla in festa per la vittoria elettorale di SYRIZA.
I greci sanno com'è andata a finire: dalla commedia alla tragedia...
 Tsipras ha ceduto su tutta la linea, continuando con la terapie austeritarie e accettando un terzo accordo con i creditori ancor più duro dei precedenti e, soprattutto, ha confermato il commissariamento della troika, accentuando la sudditanza coloniale del Paese. Il tutto, non dimentichiamolo mai, per salvare le banche tedesche e francesi che erano esposte sul debito pubblico greco. Diciamola tutta: la troika esulta perché Tsipras coi suoi tagli, le sue privatizzazioni selvagge, le sue stangate fiscali, ha eseguito gli ordini in maniera impeccabile e zelante.

Così è accaduto che i tanti estimatori che Tsipras aveva a sinistra, anzitutto in Italia, si sono dileguati. Tsipras, a sinistra, è orami un tabù. A nulla servirono le ammonizioni che tra gli altri anche noi facemmo. Ci sono voluti, ahinoi, le lacrime ed il sangue dei greci affinché certa sinistra-san-tommaso abbandonasse, con Tsipras, l'europeismo più becero e ingenuo.

Ma se a sinistra Tsipras è passato di moda, nel campo della borghesia liberale egli è portato in palmo di mano.

Uno di questi estimatori è il giornalista Ettore Livini.
A novembre, su Repubblica, egli gridava che "Tsipras pone fine all'austerità". Motivo di quel titolo erano alcuni bonus-elomosina elargiti alla famiglie più povere inseriti nella legge di bilancio. Titolo ingannevole e falso visto che, al netto delle briciole, il governo SYRIZA sta rispettando scrupolosamente le terapie da cavallo chieste dalla troika. Le verirtà su quella finanziaria la disse chiara Panagiotis Lafazanis, portavoce di Unità Popolare (Laiki Enmotità):
«L'ennesima controriforma conservatrice che continua a scaricare sul popolo tutti i sacrifici mentre non solo non tocca i ricchi ma limita il diritto di sciopero, cosa questache nemmeno le destre ebbero il coraggio di fare»
Ma il Livini, che è un tipo caparbio e più di ogni altra cosa deve raccontare le storie che gli suggerisce chi lo ha sul libro paga, non cessa di stupirci.

Ne il venerdì (supplemento di Repubblica) in edicola ha firmato un articolo esilarante. Il Livini testualmente scrive: 
«Ad agosto sarà ufficiale: la Grecia è fuori dalla crisi. Il premier ce l'ha fatta, uscire dall'austerity da sinistra si può. Eppure le gente sta peggio. E la destra vola».
Sorvoliamo sulla notizia che la troika starebbe per dichiarare "guarita la Grecia" e quindi sarebbe pronta a porre fine al commissariamento —finirà forse il commissariamento formale, non quello sostanziale, che durerà per decenni. 

Avete capito? Con Tsipras la Grecia sarebbe uscita da sinistra dall'austerità però... però la  gente sta peggio di prima.

Ma questo c'è, cretino, o ci fà?

martedì 30 gennaio 2018

VERSO LE ELEZIONI, SCHEDA 5: LIBERI E UGUALI

[ 30 gennaio 2018 ]

Continuiamo con le schede sui programmi delle diverse forze politiche che troveremo il 4 marzo sulla scheda elettorale. Ricordiamo che mettiamo a fuoco, dei diversi programmi, quanto dicono dell'Unione europea e dell'euro. Oggi ci occupiamo dei diversamente piddini Liberi e Uguali.


Ricordiamo le schede precedenti:
SCHEDA 1: PER UNA SINISTRA RIVOLUZIONARIA
SCHEDA 2: PARTITO COMUNISTA
SCHEDA 3: L'ALTRA EUROPA CON TSIPRAS

SCHEDA 4: POTERE AL POPOLO

*  *  *

Primo dato che salta agli occhi: la moneta unica, l'euro insomma, non è mai (MAI) citata ne programma elettorale di Liberi e Uguali—un'omissione che abbiamo già visto nella scheda su Potere al Popolo

Secondo dato: nel programma (15 capitoli tematici) non ce n'è nessun che riguardi l'Unione europea. Non solo, l'Unione europea è citata solo una volta in tutto il lungo testo, mentre troviamo molte volte citata "l'Europa". Vediamo quindi una singolare rimozione della Ue e, con essa, il maldestro tentativo di nascondere le pesantissime responsabilità che euristi di primo pelo come D'Alema e Bersani si portano appresso per essere stati artefici dell'ingresso del Paese nella gabbia eurocratica.

Terzo dato: sovranità e nazione sono due parole mai (MAI) citate nel programma, mentre il sostantivo popolo è citato una volta sola ma... davanti all'aggettivo di "europeo"!!
la "banda dei quattro"

Leggiamo infatti questo paragrafo nella Introduzione al programma:
«La nostra è una scelta chiaramente europeista ma vogliamo combattere la deriva tecnocratica che ha preso l’Europa restituendo respiro alla visione di un solo popolo europeo. Vogliamo un’Europa più giusta, più democratica e solidale. Occorre superare la dimensione intergovernativa che detta i doveri e non garantisce i diritti con politiche di dura austerità. Vogliamo dare maggiore ruolo al Parlamento europeo che elegga un vero governo delle cittadine e dei cittadini europei affinché possano tornare ad abitare la loro casa».
Avete capito? Quando si dice "questi fanno i furbi"! Nessuna parola sull'euro, rimozione di quel mostro che è l'Unione europea liberista, nascondimento delle proprie responsabilità storiche, il tutto per spacciare la merce avariata dell'europeismo, giungendo alla corbelleria di parlare di "popolo europeo" declinato al singolare —popoli al plurale è vietato che sennò occorre parlare delle nazioni.

Che abbiamo quindi? Il solito caparbio e melenso europeismo solo che per farlo digerire ai loro elettori e per intercettare i tanti cittadini che hanno capito la fregatura, fan finta di essere diventati anche loro "battipugnisti", paladini anche loro del "cambiamo l'Europa".

Chi abbocca è perduto.

CASA POUND: MARCO MORI DOCET

[ 30 gennaio]

VERO MARCO: "LA STORIA NON È COME UN FUMETTO"

«Preferirei votare un partito che non abbia nulla a che fare col fascismo ma non si presentano altri partiti sovranisti votabili che non siano Casa Pound per cui, seppur senza eccessivo entusiasmo, voterò CPI».


Per quanto sia sconfortante, per quanta amarezza ciò produca, occorre guardare in faccia la realtà: i "fascisti del terzo millennio" pescheranno voti anche nel campo del sovranismo costituzionale

Se lo meritano? No, se il merito va attribuito a coloro che per anni, con tanta fatica, senza mezzi e contro il fronte eurista, hanno girato il Paese in lungo ed in largo per controinformare, spiegare e divulgare perché e per come l'eurozona fosse un gabbia per il popolo lavoratore e la riconquista della sovranità nazionale fosse necessaria al Paese.

Casa Pound è, da questo punto di vista (non meno della Lega salviniana), un movimento di scrocconi, di gente che va a sbafo, di parassiti politici. Sono come il cuculo, che depone le sue uova in nidi altrui. 

Se questo è potuto accadere, oltre ad una società "liquida" in cui gli ideali non contano più un cazzo per nessuno, è certo a causa di nostri limiti ed errori; ma è anche responsabilità di tutti quelli che ce l'hanno messa tutta per isolare la sinistra patriottica. A chi ci riferiamo?  Sia a certa sinistra radicale che considera la sovranità nazionale come fumo negli occhi, sia a quelli che, nel campo sovranista ci hanno ostracizzato con la solfa che non ci sarebbero più né destra né sinistra.

Il prodotto, tra gli altri, sono mosse come quelle di Bagnai e Marco Mori, che si sono prestati all'operazione cosmetica di forze di destra che debbono cosmeticamente camuffare a sinistra il loro operato per raccattare più voti possibili.

Ci siamo già occupati dell'amico Marco Mori e della sua scelta di candidarsi con Casa Pound. Ci ritorniamo consigliandovi di ascoltare una sua intervista programmatica dove egli spiega la sua scelta di candidarsi con Casa Pound (vedi più sotto)

Che dimostra questa intervista? Anzitutto: che né la cifra del talento né quella dell'erudizione giuridica danno come prodotto un grande dirigente politico. In secondo luogo: che un'ambizione smisurata porta a imboccare scorciatoie che si rivelano quasi sempre fatali.

Lasciandovi all'ascolto di Mori, segnaliamo le perle più significative del suo discorso:

(1) MARCO MORI: "Le categorie ideologiche sono morte, servono solo al regime per dominarci. Se fossero ancora valide mi definirei socialista".
(2) Marco Mori: "Fascismo del terzo millennio? Casa Pound si riferisce con questo termine al modello sociale del fascismo, che era antiliberista. Un modello che si è trasferito nella Carta Costituzionale"
(3) MARCO MORI: "Guardiamo alla storia: che cos'era Mussolini se non un socialista? A volte si dipinge la storia come un fumetto".
(4) MARCO MORI: "La seconda guerra mondiale ha avuto una caratteristica molto chiara, la lotta tra liberismo e antiliberismo".
(5) MARCO MORI: Collusioni a Ostia tra Casa Pound e clan Spada? Solo un episodio di cronaca"
(6) MARCO MORI: "Con il Partito comunista di Marco Rizzo potrebbe esserci un 90% di comunanza....ma Casa Pound non ha quelle barriere ideologiche che si vedono a sinistra. Casa Pound invece è aperta a tutti, anche al Partito comunista".
(7) E QUINDI CONFESSA: " Sì, essere eletto al Parlamento europeo è una delle cose che mi piacerebbe".....









lunedì 29 gennaio 2018

DOPO LA BREXIT: CRESCE L' OCCUPAZIONE IN GRAN BRETAGNA

[ 29 gennaio 2018 ]

Ve lo ricordate quel che dicevano gli avversari della Brexit? Il Regno Unito ci lascerà le penne, l'economia entrerà in recessione, aumenteranno disoccupazione e povertà, i capitali fuggiranno all'estero. Più o meno gli stessi sfracelli che gli euristi fantasticano in caso di uscita dell'Italia dalla Ue e dall'eurozona. 
Sta avvenendo invece il contrario, come dimostra questo report della Reuters. Sul fronte del lavoro la disoccupazione non era così bassa da quattro decenni. E i salari? Cresciuti ma secondo alcuni analisti meno dell'inflazione, che viaggia al 3,1%.



L'occupazione nel Regno Unito aumenta vertiginosamente, ed i salari crescono
di Andy Bruce e David Milliken

LONDRA (Reuters) - Il numero di occupati in Gran Bretagna è salito così come i salari, dati che potrebbero incoraggiare la Banca d'Inghilterra (BoE) a pensare che i tassi di interesse dovrebbero essere rialzati a breve.
La sterlina ha toccato 1,41 dollari, il livello più alto rispetto al dollaro USA dal referendum sulla Brexit del 2016, mentre i prezzi dei titoli di stato britannici sono scesi al livello più basso da ottobre.
L'economia britannica ha rallentato nel 2017 quando la maggiore inflazione —causata dal calo della sterlina dopo il referendum — ha danneggiato il potere d'acquisto dei consumatori. 
L'ufficio nazionale di statistica (ONS) ha dichiarato che il numero degli occupati è salito di 102.000 unità nei tre mesi precedenti a novembre, l'aumento maggiore da luglio, ciò che ha portato il numero di occupati a 32,2 milioni.
I posti di lavoro a tempo pieno hanno costituito la maggior parte dell'aumento, ed i lavoratori tra i 50 e i 64 anni sono coloro che ne hanno beneficiato maggiormente.
Queste cifre hanno alleviato le preoccupazioni sul fatto che il mercato del lavoro in Gran Bretagna stesse perdendo terreno.
«I numeri degli occupati ancora una volta suggeriscono chiaramente che l'economia del Regno Unito procede su una base più solida di quanto molti avevano previsto in seguito al voto referendario sulla UE», ha detto James Athey, senior investment manager presso Aberdeen Standard Investments.
La BoE ha aumentato i tassi di interesse per la prima volta dal 2007 a novembre, poiché la maggior parte dei suoi policymakers pensava che il forte calo della disoccupazione avrebbe presto iniziato a far salire i salari —una previsione che i dati di mercoledì giustificano, ha aggiunto Athey.
La maggior parte degli economisti si aspetta che il prossimo rialzo dei tassi della BoE ci sarà verso la fine di quest'anno, ma alcuni dicono che potrebbe arrivare anche a maggio.
L'ONS ha dichiarato che le retribuzioni dei lavoratori, esclusi i bonus, sono aumentate del 2,4% annuo nei tre mesi precedenti a novembre, l'aumento maggiore dal dicembre 2016.
Includendo i bonus, la crescita delle retribuzioni è rimasta al 2,5%.
«Tuttavia, siccome l'inflazione rimane superiore alla crescita delle retribuzioni, il valore reale dei salari continua a diminuire», ha dichiarato lo statista dell'ONS David Freeman.
A novembre, l'inflazione ha superato la crescita dei salari, raggiungendo il 3,1%, il massimo da quasi sei anni. Misurando entrambe le serie di dati nei tre mesi precedenti a novembre, le retribuzioni in termini reali sono diminuite dello 0,5% rispetto all'anno precedente.
I salari, rapportati all'inflazione, rimangono al di sotto dei livelli precedenti alla crisi finanziaria del 2007-09.
I dati mostrano anche che il tasso di disoccupazione si è attestato al 4,3%, il minimo da quattro decenni.
Samuel Tombs, un economista con Pantheon Macroeconomics, ha detto che il tasso di crescita annuale dei salari, esclusi i bonus, nei tre mesi fino a novembre rispetto ai tre mesi precedenti, è salito al 3,4%. Ciò suggerisce che non passerà molto tempo prima che la BoE alzi anche il tasso di interesse salirà al 3%.


*Traduzione a cura di SOLLEVAZIONE




RIFORMARE L'EUROZONA? IMPOSSIBILE! di Enrico Grazzini

[ 29 gennaio 2018]

L'Italia tra promesse elettorali e rischio fallimento, perché l'intesa “europeista” tra Berlino e Parigi non ci salverà

Le strabilianti promesse miliardarie di meno tasse e più welfare fatte dai partiti italiani in vista delle elezioni sono poco più di aria fritta perché toccherà a Bruxelles, a Berlino e a Francoforte decidere sui nostri conti. Sono infatti le istituzioni europee e la grande finanza a decidere del destino dei cittadini italiani, mentre le elezioni nazionali e la nostra democrazia parlamentare ormai contano poco. Il problema è che l'Italia è il ventre molle dell'eurozona, in particolare per il suo elevato debito pubblico, e nessuno ci farà degli sconti: l'Unione Europea, e il governo tedesco che comanda la UE germanizzata, ci imporranno sicuramente ancora austerità e sacrifici. La nuova grande speranza dei nostri politici, propagandata dalla fanfara dei media dominanti, è che il nuovo governo tedesco popolar socialista di Merkel-Schulz in via di costituzione accetti la proposta di alleanza “europeista” fatta da Emmanuel Macron e che l'intesa annunciata tra Berlino e Parigi per il rilancio dell'integrazione europea aiuti il nostro paese a ottenere più flessibilità sui conti pubblici, e quindi a uscire dalla crisi. Ma questa è una falsa speranza e una pia illusione. Ai due paesi europei, nostri vicini e concorrenti, può infatti convenire che l'Italia resti nel tunnel della crisi.

Merkel e Macron porteranno avanti innanzitutto i loro interessi nazionali, pur ammantandoli di nobile retorica europeista. Il Fondo Monetario Europeo che vorrebbero realizzare farà da cane da guardia per salvaguardare prima di ogni altra cosa gli interessi delle banche creditrici e dei paesi più forti nei confronti degli stati indebitati come l'Italia. Il FME imporrà lo stretto controllo centralizzato dei bilanci pubblici: lo scopo primario non sarà certamente il benessere economico dei paesi europei; l'obiettivo principale è invece che gli stati “lazzaroni” del sud Europa restituiscano i debiti contratti con i grandi operatori finanziari anche a costo di soffocare le loro economie e di impoverire le loro società. La micidiale pressione dell'eurozona contro lavoratori e ceto medio non cesserà per merito della “benevolenza” della diarchia franco-tedesca.

La vera novità è che in Europa si delinea una nuova gerarchia con al centro l'egemonia militare-nucleare di Parigi e quella economica di Berlino: il nostro paese rischia di diventare ancora più dipendente dalle politiche dei due stati egemoni – vedi per esempio l'adesione italiana alla inutile e pericolosa missione militare in Niger sotto comando francese -. La considerazione di Luigi Di Maio, candidato premier dei 5 Stelle, sul fatto che Francia e Germania sarebbero più deboli in Europa e che quindi l'Italia potrebbe operare con maggiore efficacia per cambiare le politiche europee, appare del tutto irrealistica.

Il vero problema però è che il rischio di fallimento sovrano dell'Italia diventa sempre più concreto a causa della fine del programma di espansione monetaria da parte della Banca Centrale Europea. Con la fine del Quantitative Easing sarà assai più difficile collocare il nostro debito pubblico e gli interessi da pagare sui titoli di stato prevedibilmente aumenteranno. Il peso del debito pubblico potrebbe diventare insostenibile e la crisi precipitare, come accadde nell'estate del 2011. Davanti a noi abbiamo un precipizio assai difficile da superare. Non a caso Francia e Germania, proprio per affrontare una grave crisi come quella italiana, stanno prospettando la realizzazione del Fondo Monetario Europeo. Potrebbe essere proprio il FME a “salvare” e commissariare l'Italia.

L'Italia è l'unico grande paese europeo che non ha ancora recuperato il livello del PIL di prima della crisi. Ma non uscirà dal tunnel se la politica italiana non deciderà finalmente e coraggiosamente di contrastare con fermezza le politiche restrittive europee come il Fiscal Compact, e di muoversi autonomamente nei confronti della nuova diarchia europea. In questo contesto la moneta fiscale complementare all'euro può svolgere un ruolo essenziale per fare uscire i nostro paese dalla crisi senza correre il rischio di rovinose rotture con la UE e con l'eurozona.


I partiti fanno finta di illudersi che si possano risolvere i problemi dello sviluppo economico, dell'occupazione e del benessere nazionale grazie alla riforma dell'eurozona. Ma le riforme sono manifestamente una missione impossibile. Ce lo ha spiegato chiaramente il compianto Luciano Gallino – il più profondo e acuto “intellettuale organico” della sinistra la cui lezione sull'Europa, sul finanzcapitalismo e sull'euro è però volutamente ignorata dalla sinistra stessa-.

In una delle sue ultime interviste Gallino ha spiegato: “l’euro non funziona e non funzionerà mai. Non si tratta di continuare le invettive contro la finanza, ma di mettersi a studiare cosa fare per migliorare l’euro, per affiancarlo a monete parallele o dissolverlo in maniera consensuale. Così com’è l’euro è una camicia di forza che rende la vita impossibile a tutti, tranne che alla Germania”.

Tutti vogliono rimodellare l'Europa. Ma la critica di Gallino verso l'Europa disunita dalla moneta unica è radicale: “I trattati oggi non sono modificabili se non all’unanimità. È il segno dell’impossibilità pratica di intervenire”. L'Europa è irriformabile perché le riforme strutturali richiederebbero una unanimità che non si può ottenere. Inoltre perché è dominata dalla politica nazionalista della potenza egemone: “Poi c’è il problema della Germania, l’unico paese ad avere avuto vantaggi dall’euro in termini di export e produttività. Convincerla a diminuire l’export, è difficile se non impossibile”.

Non c'è partito politico che possa illudersi: la Germania non rinuncerà mai alle sue politiche mercantilistiche di enorme surplus commerciale con l'estero (circa l'8-9% del PIL) che danneggiano l'Europa. La politica europea della nuova (?) Grande Coalizione (ammesso naturalmente che il programma comune elaborato da Merkel e Schulz venga accettato dal congresso della SPD) non virerà di 180 gradi. La Germania non ha alcuna convenienza a cambiare le politiche dell'eurozona perché la sua economia sta marciando a pieno regime.

Il principio di base della politica della Germania verso l'Europa resterà immutato: NO al Transfer Union, NO all'Europa dei trasferimenti di risorse. La Germania non verserà un solo soldo per investire sul futuro dell'integrazione europea. Anche perché l'opposizione di destra, quella dei liberali e di Alternativa per la Germania, cioè dei partiti ultranazionalisti usciti vincenti dalle elezioni, costringeranno il governo popolar-socialista a non essere per nulla lungimirante e generoso verso l'Europa.

Il nuovo governo tedesco continuerà a perseguire una politica europea di austerità. Del resto nelle partite importanti, come quella energetica del gas russo, come quella del rapporto con la Russia, con i paesi dell'est, con l'Ucraina, con la Turchia, la Germania gioca da sempre da sola, al massimo cercando l'appoggio francese. L'intesa economica e politica tra i due non sarà facile, ma l'asse franco-tedesco si costruirà innanzitutto sulle politiche estere e dell'immigrazione gestite manu militari in Africa e Medio Oriente (vedi il caso siriano e del Libano).


L'Italia come sempre si accoda: sotto il comando francese parteciperà in Niger – dove la Francia controlla le miniere di uranio - alla inutile e pericolosa missione militare neo-colonialista contro migliaia di poveri disgraziati che cercano di fuggire in Europa. E' come se gli americani all'inizio del '900 avessero invaso l'Italia e altri paesi europei per impedire l'emigrazione in America di milioni di poveracci in cerca di lavoro. Il possibile risultato dell'operazione militare potrebbe essere, purtroppo e per reazione, la diffusione dell'integralismo islamico e del terrorismo.

L'Italia si accoda, ma Francia e Germania si stanno già preoccupando di spartirsi i posti più importanti della UE. La Germania reclama la presidenza della BCE alla scadenza di Draghi, nel 2019, e punta sul falco Jens Weidmann che da sempre si oppone duramente e apertamente alle politiche monetarie espansive di Draghi. La Francia da parte sua lavora per avere un suo uomo come prossimo superministro europeo del Tesoro a capo del costituendo FME. In questo contesto, l'Italia rischia di trovarsi tra l'incudine e il martello. Ricordiamoci che la Francia ha sempre cercato di soffiarci il petrolio libico ed è la responsabile principale delle tragedie in Libia e in Siria.

L'esempio dell'europeismo francese è dato dall'azione di Vincent Bollorè, grande finanziere che ha dato l'assalto a Mediaset, controlla Telecom Italia – la rete nazionale di telecomunicazioni – ed è tra i principali azionisti di Mediobanca. Secondo molti analisti la finanza francese punta a controllare Unicredito e le Assicurazioni Generali (di cui Mediobanca è principale azionista).

E' possibile che, con il rilancio della politica europea, l'austerità venga per un po' alleggerita, ma in cambio l'asse Berlino-Parigi (la Commissione UE in realtà conta poco o nulla) chiederà ancora più di prima di effettuare le cosiddette “riforme strutturali” - ovvero: precarizzazione del mercato del lavoro, attacco alla spesa pubblica e al welfare, privatizzazione dei servizi pubblici, apertura al capitale straniero nei settori strategici nazionali -. La prospettiva del Fiscal Compact diventerà micidiale per l'Italia.

* Fonte: Micromega

domenica 28 gennaio 2018

PULIZIA ETNICA A PIDDINIA CITY di Leonardo Mazzei

[ 28 gennaio 2018 ]
Il bunker di Renzi e una crisi che si aggrava




Tra qualche anno, quando la polvere di questi tempi grigi si sarà infine depositata nell'ampio magazzino della storia, verrà il momento di ringraziare Renzi. Grazie di aver distrutto il Pd, grazie di averlo fatto in breve tempo. Magari sarebbe andata così comunque, ma tu ci hai aiutato non poco. Di nuovo, grazie!

La vicenda della composizione delle liste elettorali al Nazareno è di quelle che merita qualche riga di commento. Come previsto, Renzi ha fatto piazza pulita di ogni opposizione interna. Una pulizia etnica che certo Bersani e i suoi avevano da tempo immaginato (tra parentesi, è questo il vero motivo della nascita di LeU, che altro non c'è).

Sia chiaro, Renzi non è certo l'unico leader di partito a muoversi come un monarca. Così hanno fatto Di Maio e Salvini, come pure - e ci sarebbe da ridere! - il pesce lesso numero 2 (essendo il numero 1 Gentiloni) della politica italiana: quel Pietro Grasso che si trova lì solo perché gli altri si son guardati tutti allo specchio. E tuttavia Renzi è stato insuperabile.

Da mesi avevamo chiara una cosa, che se il segretario del Pd era rimasto inamovibile al suo posto pur non azzeccandone più una da tempo immemorabile (basti pensare al Rosatellum), è  anche perché i suoi - un gruppo di parassiti attaccati al potere come l'edera alla pianta - gli hanno imposto di arrivare almeno al momento per loro cruciale: quello della composizione delle liste elettorali.

E così si è consumata la pulizia etnica, con Renzi chiuso nel bunker col fido Lotti a lavorar di biro e di bianchetto. Lavoro svolto, però, non più come condottiero, ma come stanco notaio di un rito che non gli porterà fortuna, né lo porterà lontano. "Esperienza devastante", l'ha definita lui stesso...

Ma perché, vi chiederete, questo passaggio delle candidature è così rilevante? Che forse è la prima volta? Che forse gli esclusi erano migliori dei salvati? No, no, assolutamente no! Non è questo il punto, e poi c'è davvero in giro qualcuno che sappia dirci che cos'è un "orlandiano"? Suvvia, non scherziamo, la cosa potrà al massimo interessare qualche entomologo, ma mai e poi mai le persone sane di mente.

E tuttavia l'importanza di quel che è avvenuto resta. Lo psicodramma di queste mezze calzette, che si credevano insostituibili ed hanno scoperto di non contare un fico secco, non è solo divertente, è anche istruttivo. Esso ci parla della crisi del Pd, cioè del partito sistemico per eccellenza. Quello del pieno dispiegamento delle politiche liberiste, austeritarie ed euriste.

Magari questo partito resterà in qualche modo al governo, forse la stessa emorragia elettorale verrà tamponata dall'intervento in emergenza di ogni strumento (mediatico e non) di cui dispongono lorsignori, ma l'idea del partito pigliatutto, a "vocazione maggioritaria", è ormai morta e sepolta. 

Questo nell'immediato, mentre più avanti credo che vedremo qualcosa di ben più radicale, probabilmente la stessa fine del Pd, esito non improbabile di una crisi verticale dell'intera classe politica italiana.

Cosa ne seguirà non sappiamo. Ma tra le tante notizie non buone di questo periodo, quella dell'acutizzarsi della crisi del Pd non è solo buona: è ottima!

sabato 27 gennaio 2018

FLAT TAX: LA TASSA CHE PIACE AI RICCHI di Leonardo Mazzei

[ 27 gennaio]

Ci pare molto utile, ripubblicare lo studio scientifico con cui Mazzei svela chi ci guadagnerebbe veramente con la "tassa piatta", ovvero le cifre che i liberisti Silvio Berlusconi e Matteo Salvini non vi faranno vedere mai. 

Ci siamo già occupati di flat tax un paio di settimane fa. Lo abbiamo fatto per denunciarne l'effetto di scardinamento che essa avrebbe sull'intero impianto costituzionale. Ci torniamo sopra oggi per dare la parola ai numeri, per dimostrare cioè quale sarebbe l'effetto concreto della "tassa piatta" sia in termini di redistribuzione della ricchezza a favore delle fasce di reddito più alte, sia per quanto riguarda la cancellazione di ogni diritto sociale che ne deriverebbe.

Gli imbroglioni sono infatti all'opera. Per loro con la flat tax tutti ci guadagnerebbero. Un'idea win win quindi, che avrebbe anche il grande pregio di semplificare il sistema fiscale. Come se le complicazioni del fisco dipendessero dal numero delle aliquote 
A sinistra il liberista Armando Siri
dell'Irpef. Aliquote che dal 1974, quando l'Imposta sul reddito delle persone fisiche entrò in vigore, sono passate da 32 a 5. Chissà com'era complicato il sistema fiscale negli anni '70!

  Un po' di storia  

La verità è che il principio costituzionale, fissato nell'articolo 53 - «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» - è stato gradatamente attaccato già a partire dal 1983. In quegli anni il neoliberismo cominciava a dispiegarsi con forza, ed il reaganismo negli Usa ed il thatcherismo in Inghilterra si occupavano di tradurre la teoria in atti politici. Non solo privatizzazioni, leggi antisindacali, tagli al welfare, ma anche norme fiscali sempre più favorevoli ai ricchi.

Questo attacco generalizzato delle classi dominanti porterà, in Italia, ad una serie di controriforme dell'imposta sul reddito. Ricostruire questi passaggi ha una sua utilità. Se nel 1974 le 32 aliquote dell'Irpef andavano dal 10 al 72%, nel 1983 esse scesero a 9 con un minimo del 18% ed un massimo del 65%. La corsa all'appiattimento della progressività dell'imposizione fiscale era dunque cominciata. Ma era solo l'inizio. Nel 1989 le aliquote calano a 7 con un minimo del 10 ed un massimo del 51%. Nel 1998, con il governo Prodi, si arriva a 5 aliquote dal 18,5 al 45,5%. Questo schema subisce altre modifiche nei primi anni duemila, per poi stabilizzarsi sulle 5 aliquote in vigore ancora oggi, che vanno da un minimo del 23% ad un massimo del 43%.


E' chiaro che per valutare appieno il progressivo processo di appiattimento dovremmo tener conto anche di altri fattori, dato che gli scaglioni di reddito non sono restati stabili nel tempo, come pure le deduzioni e detrazioni applicate alle varie categorie di contribuenti. Tuttavia, al netto di questi aspetti che comunque non cambiano la sostanza del ragionamento, il percorso di appiattimento è riassunto da quattro nude cifre riferite al periodo 1974-2017, che qui ricapitoliamo: (1) il numero delle aliquote è sceso da 32 a 5, (2) quella minima è salita dal 10 al 23%, (3) quella massima è scesa dal 72 al 43%, (4) il differenziale tra minimo e massimo è passato dal 62 al 20%.

Sono cifre che parlano da sole. Ma a lorsignori non gli basta mai. Eccoli dunque di nuovo all'attacco. Questa volta per arrivare alla vetta finale, quella della massima ingiustizia fiscale, o se preferite della massima iniquità sociale: la flat tax, ovvero la "tassa piatta" con una stessa aliquota per il precario sotto i mille euro al mese come per i Paperoni dai redditi milionari.

Da notare che, tra le tante tasse che i comuni cittadini pagano ogni anno, l'Irpef è l'unica che mantiene un criterio di progressività. L'unica dunque che in qualche modo è ancora in linea con la prescrizione del citato art. 53 della Carta del 1948. Per il resto - dall'IVA alle accise, dall'IMU ai redditi da capitale - è già "tassa piatta". A tanta iniquità accumulata negli anni, si vorrebbe adesso aggiungere anche la flat tax.

  L'Italia un residuo del "socialismo reale"?  

Qualcuno penserà che sia cosi dappertutto, ma non è questa la realtà. In alcuni paesi occidentali (quelli che spesso ci vengono portati ad esempio) la progressività non è limitata all'imposta sul reddito. In Francia, ad esempio, vige un'«imposta sulla fortuna» (di fatto una patrimoniale) che, fatta salva una no tax area di 732mila euro, applica un'imposta che va dallo 0,55 all'1,80% del patrimonio. Altrettanto interessante è il caso della Gran Bretagna, dove i dividendi percepiti dalle persone fisiche sono tassati dal 7,5 al 45% in base al reddito, una bella differenza rispetto alla tassa piatta del 26% applicata per tutti in Italia.


Ma non complichiamo troppo le cose e concentriamoci sull'Irpef. A sentire i sostenitori della flat tax sembrerebbe quasi che l'Italia sia una sorta di residuo del "socialismo reale", con un sistema di tassazione dei redditi troppo ancorato ai principi di una Costituzione che si vorrebbe altrettanto socialisteggiante. Ma è davvero così? A guardare gli altri 4 maggiori paesi dell'Europa occidentale, non sembrerebbe proprio.

In Germania l'imposta sul reddito va dal 15 al 45%, in Gran Bretagna dal 10 al 45%, in Spagna dal 24,75 al 52%, in Francia (dove vige un sistema per unità familiare) si va dal 6,83 al 48,09%. In tutti questi paesi la tassazione è dunque più progressiva che in Italia. Che il socialismo sia avanzato al di là delle Alpi senza che ne ce ne fossimo accorti? La realtà è che le nostrane classi dominanti sono ancora più voraci che altrove.

Quali sono, viceversa, i paesi dove la flat tax è in vigore? L'elenco è troppo pittoresco per non citarlo integralmente. Partiamo, in ordine rigorosamente alfabetico, dall'Europa: Abkhazia, Andorra, Bielorussia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Lituania, Lettonia, Macedonia, Ossezia del Sud, Romania, Russia, Serbia, Transnistria, Ucraina.

Proseguiamo con il resto del mondo: Arabia Saudita, Belize, Bolivia, Grenada, Hong Kong, Kazakhstan, Kirghizistan, Madagascar, Mauritius, Mongolia, Montenegro, Paraguay, Sant'Elena, Seychelles, Trinidad e Tobago, Turkmenistan, Tuvalu.


Questo elenco ci mostra come gli Stati (in alcuni casi sotto-stati) con la flat tax appartengano, salvo rarissime eccezioni, a tre precise categorie: (1) paradisi fiscali di varia natura, (2) stati largamente malavitosi e - soprattutto - (3) stati fortemente oligarchici, come la Russia, i paesi dell'ex Urss ed altri appartenenti al vecchio blocco sovietico.

E' quello il modello sociale che vogliamo perseguire? Dovrebbe essere questa la prima domanda da porsi se si intende discutere seriamente di flat tax.

Dopo queste premesse di carattere generale, veniamo ora alle due proposte di "tassa piatta" attualmente in campo. La prima, lanciata da Armando Siri e dalla Lega salviniana; la seconda, formulata dall'Istituto Bruno Leoni (IBL) con appoggi ben più potenti.

  La proposta Siri-Lega Nord  

E' questa la prima proposta avanzata in ordine di tempo. Essa si basa su una tassa piatta del 15% su tutti i redditi, rimodulata poi in minima parte con il seguente sistema di deduzioni: 3mila euro per ogni componente della famiglia fino ad un reddito di 35mila euro; 3mila euro per ogni familiare a carico per redditi da 35mila a 50mila euro; nessuna deduzione sopra i 50mila euro di reddito. Da notare che i redditi di cui sopra non sono più da intendersi (come nel sistema attuale) come individuali, bensì come redditi familiari, frutto cioè del cumulo dei proventi di tutti i membri della famiglia.

E' grazie all'espediente di queste deduzioni di nuovo tipo che si vorrebbe dare una parvenza di progressività a questo sistema di flat tax. Vedremo più avanti, cifre alla mano, come questo sia davvero un trucco di bassa Lega.

Ma prima occupiamoci di un altro aspetto. Quindici percento è un numeretto ammiccante, ma come pensa il Siri di far quadrare i conti? Ovvio che per un prestigiatore come lui questo non può essere un problema. L'ideologo fiscale (sic!) di Salvini spara queste cifre: a fronte di un gettito attuale dell'Irpef secondo lui di 150 miliardi (vedremo poi come stanno davvero le cose) la sua proposta determinerebbe un ammanco di 40 miliardi, ma nessun problema perché 6 miliardi si otterrebbero con l'incremento dell'IVA dovuto alla
crescita dei consumi (boom!), 28 miliardi verrebbero recuperati con l'emersione del sommerso (doppio boom!), un miliardo e mezzo dall'aumento dell'occupazione e così via.

Il Siri è certamente fantasioso, ma ancor più è un imbroglione. Intanto il gettito dell'Irpef, certificato dal MEF, è stato nel 2016 non di 150, bensì di 180 miliardi e 673 milioni. Dunque - prendendo adesso per buoni i suoi stessi conti (ma vedremo fra poco che non lo sono affatto!) l'ammanco determinato dalla sua proposta non è di 40, bensì di oltre 70 miliardi di euro. Ma che volete che sia, lui ha arrotondato un po', e poi chi volete mai che vada a controllare certi calcoli!

Invece, già che ci siamo, controlliamoli fino in fondo. Il fiscalista di Salvini ci parla di una base imponibile di 800 miliardi. Ora, chiunque compili una dichiarazione dei redditi sa che l'imposta media attuale non può essere inferiore al 20%, dunque mai e poi mai un imponibile di 800 miliardi poteva dare un gettito di soli 150 miliardi (18,75%) come preteso furbescamente dal Siri. Difatti i conti del MEF ci parlano di una percentuale assai diversa, quella di un'imposta media del 22,50%, una differenza non piccola. Ma quale sarebbe invece l'imposta media della proposta leghista? Siccome il massimo è comunque il 15%, ma giacché sono previste le deduzioni di cui abbiamo parlato, l'imposta media (ricavabile anche dai casi ipotizzati nello specchietto presentato nel video già citato) dovrebbe attestarsi sul 12%, pari ad un gettito di 96 miliardi di lire. Come si può notare, a conti fatti, la cifra mancante non solo non è quella dei 40 miliardi del discorsetto truffaldino di questo illusionista da quattro soldi, ma non è neppure quella di 70 miliardi cui eravamo già arrivati in base ai dati del MEF, bensì quella di 84 miliardi di euro. 

Ora, se c'è chi vuol continuare a prendere sul serio un personaggio di questo tipo si accomodi pure. Il grave è che c'è persino qualcuno che ritiene ancora che la Lega possa essere una forza in qualche modo keynesiana! Da questo punto di vista il Siri però ci aiuta a fare chiarezza, perché secondo lui il modo di uscire dalla crisi è quello di togliere risorse allo Stato per darle ai ricchi, perché solo così aumenterebbero consumi e investimenti. Ovviamente il nostro non dice di voler perseguire una politica di tagli alla spesa pubblica (salvo i famosi "sprechi"), ma è proprio questa politica l'inevitabile conseguenza della sua proposta. L'idea leghista è dunque un'idea ultra-liberista, l'idea di un "Stato minimo" assoggettato alla potenza del capitale, una potenza alla quale si piega anche rinunciando a quel minimo di redistribuzione ottenibile con un sistema fiscale improntato ad un criterio di progressività.

  La proposta dell'Istituto Bruno Leoni (IBL)  

Pur perseguendo lo stesso obiettivo, la proposta dell'IBL sta a quella della Lega come la pesantezza dei suoi estensori (tra i quali citiamo Nicola Rossi, Franco Debenedetti, Natale D'Amico, Oscar Giannino e Luca Ricolfi) sta all'aria spiritata del Siri.

Detto in altri termini, la proposta dell'IBL è ben più organica, più precisa, più realistica; in altre parole essa è assai più pericolosa di quella della Lega. Nondimeno, se l'ideologo salviniano è assolutamente irraggiungibile come prestigiatore, il presidente dell'IBL Nicola Rossi non è da meno in quanto a sfrontatezza. Secondo lui flat tax ed equità fiscale sono semplicemente la stessa cosa. Da notare che, politicamente parlando, questo figuro non viene da destra, bensì dal centrosinistra ulivista, di cui è stato uno degli economisti di punta nella prima decade del secolo.

Ma quali sono gli aspetti essenziali della proposta dell'IBL?
In primo luogo, l'aliquota piatta verrebbe fissata al 25%, da calcolarsi anche in questo caso sul reddito familiare. All'imponibile verrebbe applicata una deduzione fissa di 7mila euro per un nucleo di una persona. Per i nuclei più numerosi è previsto un incremento in base ad una scala di equivalenza sul modello dell'ISEE.

In secondo luogo - e qui la differenza con la proposta salviniana è netta - IMU ed IRAP verrebbero semplicemente abolite, mentre IVA, IRES e tassa sugli interessi verrebbero portate tutte al 25%. Ma siccome il 25% è la cifra magica di questa congrega di assatanati ultra-liberisti, si lascia aperta la porta ad una futura riduzione (al 25%, appunto) degli stessi contributi previdenziali.

In terzo luogo, l'IBL non si nasconde le cifre reali in ballo. L'Istituto presieduto da Nicola Rossi ammette minori entrate per 95,4 miliardi, da compensare con 64,2 miliardi di minori uscite già indicate nel testo ed altri 31,2 miliardi da ottenersi con un'ulteriore spremuta di spending review. Insomma, un complessivo ridisegno della società rispetto al quale l'esercizio del Siri appare come il frutto del dilettantismo di un ragazzotto padano pasticcione assai.

Tante sarebbero le osservazioni da fare al progetto IBL. Ma qui dobbiamo limitarci all'essenziale.
"Dio li fa poi li accoppia"

Intanto non c'è bisogno di lunghe analisi per capire chi guadagnerebbe maggiormente da un'abolizione dell'IMU, come pure non è difficile comprendere chi verrebbe maggiormente colpito dall'aumento dell'IVA al 25%. In proposito ci sia consentita una digressione sulla pesantezza di questa tassa (oggi al 22%) al cospetto di quanto in vigore negli altri principali paesi europei. L'IVA è infatti al 19% in Germania, al 19,6% in Francia, al 20% in Gran Bretagna, al 21% in Spagna. Non contenti di questo scarto già esistente, all'IBL vorrebbero spingersi ancora più avanti, ma immaginare un 25% per un paese in crisi di consumi come l'Italia è cosa davvero folle.

Ancora più importante è il progetto di distruzione integrale di ciò che resta del sistema previdenziale e di quello sanitario. Sul primo è evidente che la riduzione dei contributi dal 33 al 25% avrebbe esiti assolutamente esiziali, mentre nel campo sanitario il documento dell'IBL mira esplicitamente a favorire il settore privato (incluso quello assicurativo).

Ma la furia distruttrice di questi invasati non ha limiti. Come abbiamo già detto, nel loro testo c'è la volontà di cancellare integralmente numerose prestazioni sociali, per un totale di 64,2 miliardi (md). Tra queste citiamo alcune voci: pensione e assegno sociale (4,8 md), prestazioni invalidi civili (15,9 md), altri assegni e sussidi (13,9 md), integrazioni al trattamento minimo (9,5 md), assegni familiari (6,2 md).

Un vero e proprio massacro sociale, a danno dei settori più deboli della popolazione, questo il loro disegno. Ma siccome anche questi tagli draconiani non gli basterebbero ancora, bisognerebbe poi individuarne altri per 31,2 md.

Ecco i veri effetti della flat tax. Effetti non esplicitati nella versione leghista, ma solo per ragioni di prudenza politica, perché è chiaro che sempre lì si andrebbe a parare. Ed abbiamo visto, oltretutto, che il buco nei conti previsto dall'IBL (95,4 md) è abbastanza vicino a quello da noi calcolato per la proposta Siri (84 md). Può sembrare strano che si arrivi a questi dati partendo da due basi (15 e 25%) così differenti, ma ciò dipende dalle diverse deduzioni previste e soprattutto dal fatto che l'IBL propone l'abolizione integrale di IMU ed IRAP.


  Chi ci guadagnerebbe veramente con la flat tax
ovvero le cifre che Armando Siri e Nicola Rossi non vi faranno vedere mai  

Se non è necessario spendere altre parole affinché si comprenda chi pagherebbe le conseguenze della flat tax in entrambe le sue versioni, è utile invece soffermarsi su chi avrebbe davvero molto da guadagnarci. In proposito, i diretti interessati si schermiscono, quasi si trattasse di un dettaglio del tutto secondario. Lo sforzo di voler far credere che il loro non sia un modello appositamente studiato per la gioia dei ricchi è però assolutamente comico. Nondimeno essi si danno da fare con l'argomento che tutti ci guadagnerebbero. Sì, tutti. Con gli effetti che abbiamo visto, ma quanto davvero ci guadagnerebbe il lavoratore da 20mila euro di reddito, il professionista da 50mila, quello da 100mila, il riccastro da 300mila ed il riccone da un milione di euro? Ecco, questo non ve lo dicono e - se non costretti - non ve lo diranno mai.

Ci siamo perciò presi la briga di fare qualche calcolo per dirvelo noi.

Onde non riempire inutilmente troppe pagine, abbiamo semplificato questa operazione prendendo in considerazione nuclei di una sola persona. Questo non solo perché oggi l'Irpef si calcola individualmente, ma anche perché la proposta IBL è ancora imprecisa sul punto delle deduzioni per i nuclei più numerosi. In ogni caso, non saranno certo questi dettagli ad inficiare delle conclusioni che non potrebbero risultare più chiare.

TABELLA 1 - Tassazione Irpef attuale e tassazioni 
previste dalle due proposte di flat tax

Nella tabella 1 si è calcolata l'Irpef per i più diversi livelli di reddito, mettendo a confronto la tassazione attuale con quella derivante (deduzioni incluse) dalle due proposte di cui ci stiamo occupando.

Basta leggersi con un minimo di attenzione questi numeri per capire cosa sia la flat tax. Ma per i più pigri proponiamo anche la tabella 2, dove sono leggibili i guadagni che otterrebbero i vari redditi presi in esame.


Le cifre sono chiare: se con la proposta IBL il precario Mario Rossi (reddito di 20mila euro) risparmierà 250 euro, il notaio Luigi Bianchi (reddito di 300mila euro) ne guadagnerà 48.920, mentre il banchiere Giuseppe Verdi (reddito di 5 milioni di euro) ne intascherà 894.920. Detto in altri termini, la riduzione ottenuta da Mario Rossi sarà pari a
TABELLA 2 - Chi ci guadagna con la flat tax
1/3579vesimo (un tremilacinquecentosettantanovesimo) di quella di Giuseppe Verdi.


Facciamo ora lo stesso calcolo sulla base della proposta Siri-Lega. In questo caso il precario Rossi vedrà aumentare il suo risparmio a 950 euro, peccato che il notaio Bianchi lo surclassi con il suo guadagno di 77.170 euro, per non parlare del solito banchiere Verdi che beneficerà di una riduzione fiscale di ben 1.393.170 euro. Per gli amanti delle statistiche segnaliamo che in questo caso il risparmio del Rossi sarà pari a 1/1466esimo (un millequattrocentosessantaseiesimo) di quello del banchiere Verdi.

Che di fronte a simili numeri vi sia chi ha il coraggio di parlare di proposta win win, dove tutti guadagnano, non ha bisogno di commenti. Non solo per le enormi sproporzioni messe in evidenza, ma anche perché saranno proprio quelli come il nostro Mario Rossi (ma la cosa vale anche per le classi di reddito immediatamente superiori alla sua) ad essere chiamati a pagare gli enormi tagli alla spesa sociale derivanti dall'applicazione della flat tax. Tagli che il pittoresco Siri finge di non vedere, ma che l'austero IBL ha avuto perlomeno il merito di spiattellarci senza pudore alcuno.

Ora qualche burlone obietterà che non bisogna fare gli schizzinosi, che i risparmi ci sono per tutti e che in fondo i percettori di redditi alti sono pochi. Premesso che anche se ciò fosse vero il discorso non cambierebbe di una virgola, chi l'ha detto che sono così pochi? Volutamente, nell'esempio di cui sopra, abbiamo citato i banchieri, i cui redditi ultramilionari stanno sulle pagine dei giornali. Ma non ci sono solo loro, basti pensare ai grandi industriali, agli amministratori delegati dei grandi gruppi, o se vogliamo a certi artisti e calciatori.

Certo, questa bella congrega riesce spesso ad occultare buona parte dei propri redditi, ma è questo un buon motivo per fargli pure un mastodontico regalo sulla parte che non possono fare a meno di dichiarare? Per i sostenitori della flat tax, evidentemente sì.

In ogni caso è bene sapere che in Italia (vedi i dati del MEF) ci sono 355mila soggetti che dichiarano redditi da 100 a 200mila euro, ce ne sono altri 50mila che si collocano tra i 200 e i 300mila, mentre sono circa 34mila i soggetti sopra i trecentomila euro.

Sarebbero questi i vincitori assoluti della truffa denominata flat tax. Curiosamente, in un paese dove ci si pone (peraltro giustamente) l'obiettivo di ridurre i privilegi dei parlamentari, nessuno apre bocca sullo scandalo di proposte fiscali che si prefiggono di rendere ancor più privilegiati coloro che privilegiati (e non solo per il reddito) già lo sono ora.

Nel 2004 l'Espresso gridò allo scandalo perché, grazie alla sua riforma fiscale, Silvio Berlusconi (allora a capo del governo) avrebbe risparmiato annualmente ben 764.154 euro. Bene, cioè malissimo, adesso siamo di fronte a due proposte che fanno apparire quella del Berlusconi 2004 una ragazzata e tutto tace.

Ma visto che l'Espresso non fa più certi calcoli, siamo costretti a farli noi. Con una recente sentenza,  relativa alla separazione con la sua ex moglie, la Cassazione ha quantificato in 53 milioni di euro il reddito medio dell'ex cavaliere. Qual è allora il risparmio annuo che egli otterrebbe con le due ipotesi di flat tax di cui ci stiamo occupando? Nove milioni e 534mila (per l'esattezza 9.534.920) euro con la proposta IBL, cioè 12 volte il guadagno del 2004; 14 milioni e 833mila (per l'esattezza 14.833.620) nella versione leghista, cioè 19 volte quanto lucrato tredici anni fa.

Quello di Berlusconi è per noi solo un esempio. Ma un esempio che abbiamo usato volutamente, sia per segnalare l'ipocrisia di certa sinistra sistemica (che si scandalizza di fronte ad un avversario politico, ma non davanti al colossale privilegio di un'intera classe dominante), sia  per denunciare l'attuale silenzio su un tema che vede invece ormai in campo i pezzi da novanta del mainstream ultra-liberista.

  Conclusioni  

Davanti a questo scenario sarà bene prendere in mano, e con decisione, la questione fiscale. Non solo essa non è un dettaglio, come spero si sia capito anche da questo articolo, ma esiste il rischio concreto che sia proprio questo il grimaldello per un'ancor più profonda controrivoluzione sociale a danno del popolo lavoratore.

Il perché esista un rischio di questo tipo è presto detto. Perché è effettivamente vero che la pressione fiscale è diventata insostenibile. E' effettivamente vero che spesso i cittadini impazziscono di fronte alle varie scadenze fiscali. E' effettivamente vero che si esercita un accanimento continuo allo scopo di raschiare il barile. Ed è facendo leva su queste verità che i sostenitori della  flat fax offrono la loro risposta: tagliare fortemente le tasse (abbiamo visto per chi, ma senza una battaglia politica anche questo rischia di apparire un dettaglio), amputando ben più di quanto si sia visto finora la spesa sociale.

Di fronte a questo disegno la risposta più tragica è quella che viene dalla "sinistra" europeista, che nella sostanza sa solo replicare che le tasse non si possono in alcun modo ridurre in ossequio alle regole del Dio Euro.

In realtà - all'imprescindibile condizione di rompere con la gabbia della moneta unica - le tasse si possono ridurre eccome, ma il problema non è il "se", bensì il "come" ridurle.

Starebbe alle forze più consapevoli che si sono battute per il NO al referendum del 4 dicembre prendere l'iniziativa su questa decisiva materia. Una materia che ci rimanda direttamente al cuore della stessa Costituzione del 1948.

Ma, sia chiaro, "prendere l'iniziativa" è l'esatto contrario della semplice difesa dello status quo. Occorre dunque contrapporre alla controriforma liberista della flat tax, una riforma sociale dell'intero sistema fiscale basato su principi non di uguaglianza formale (come il 15 o il 25% per tutti), bensì di uguaglianza sostanziale.

Nella modestia delle nostre forze discutiamo di questi temi da anni. Lo facciamo all'interno di un ragionamento complessivo sulle misure urgenti che dovrebbero accompagnare l'uscita dall'euro e dall'Unione Europea. Credo, però, che questa discussione possa interessare una platea assai più vasta di quella coinvolta finora.

In ogni caso le idee non mancano. Ma su questo vedremo di tornare nel dettaglio in un prossimo articolo. Intanto spero si siano capite le ragioni del NO cubitale che dobbiamo opporre ad ogni proposta di flat tax, smascherando anche quei finti sovranisti alla Salvini che immaginano evidentemente una "sovranità" ad uso e consumo dei soliti noti.

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