giovedì 10 agosto 2017

FLAT TAX: LA TASSA CHE PIACE AI RICCHI di Leonardo Mazzei

[10 agosto 2017 ]

Uno studio scientifico con cui Mazzei svela chi ci guadagnerebbe veramente con la "tassa piatta", ovvero le cifre che i liberisti Matteo Salvini, Armando Siri  e Nicola Rossi non vi faranno vedere mai.


Ci siamo già occupati di flat tax un paio di settimane fa. Lo abbiamo fatto per denunciarne l'effetto di scardinamento che essa avrebbe sull'intero impianto costituzionale. Ci torniamo sopra oggi per dare la parola ai numeri, per dimostrare cioè quale sarebbe l'effetto concreto della "tassa piatta" sia in termini di redistribuzione della ricchezza a favore delle fasce di reddito più alte, sia per quanto riguarda la cancellazione di ogni diritto sociale che ne deriverebbe.

Gli imbroglioni sono infatti all'opera. Per loro con la flat tax tutti ci guadagnerebbero. Un'idea win win quindi, che avrebbe anche il grande pregio di semplificare il sistema fiscale. Come se le complicazioni del fisco dipendessero dal numero delle aliquote
A sinistra il liberista Armando Siri
dell'Irpef. Aliquote che dal 1974, quando l'Imposta sul reddito delle persone fisiche entrò in vigore, sono passate da 32 a 5. Chissà com'era complicato il sistema fiscale negli anni '70!

  Un po' di storia  

La verità è che il principio costituzionale, fissato nell'articolo 53 - «Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività» - è stato gradatamente attaccato già a partire dal 1983. In quegli anni il neoliberismo cominciava a dispiegarsi con forza, ed il reaganismo negli Usa ed il thatcherismo in Inghilterra si occupavano di tradurre la teoria in atti politici. Non solo privatizzazioni, leggi antisindacali, tagli al welfare, ma anche norme fiscali sempre più favorevoli ai ricchi.

Questo attacco generalizzato delle classi dominanti porterà, in Italia, ad una serie di controriforme dell'imposta sul reddito. Ricostruire questi passaggi ha una sua utilità. Se nel 1974 le 32 aliquote dell'Irpef andavano dal 10 al 72%, nel 1983 esse scesero a 9 con un minimo del 18% ed un massimo del 65%. La corsa all'appiattimento della progressività dell'imposizione fiscale era dunque cominciata. Ma era solo l'inizio. Nel 1989 le aliquote calano a 7 con un minimo del 10 ed un massimo del 51%. Nel 1998, con il governo Prodi, si arriva a 5 aliquote dal 18,5 al 45,5%. Questo schema subisce altre modifiche nei primi anni duemila, per poi stabilizzarsi sulle 5 aliquote in vigore ancora oggi, che vanno da un minimo del 23% ad un massimo del 43%.


E' chiaro che per valutare appieno il progressivo processo di appiattimento dovremmo tener conto anche di altri fattori, dato che gli scaglioni di reddito non sono restati stabili nel tempo, come pure le deduzioni e detrazioni applicate alle varie categorie di contribuenti. Tuttavia, al netto di questi aspetti che comunque non cambiano la sostanza del ragionamento, il percorso di appiattimento è riassunto da quattro nude cifre riferite al periodo 1974-2017, che qui ricapitoliamo: (1) il numero delle aliquote è sceso da 32 a 5, (2) quella minima è salita dal 10 al 23%, (3) quella massima è scesa dal 72 al 43%, (4) il differenziale tra minimo e massimo è passato dal 62 al 20%.

Sono cifre che parlano da sole. Ma a lorsignori non gli basta mai. Eccoli dunque di nuovo all'attacco. Questa volta per arrivare alla vetta finale, quella della massima ingiustizia fiscale, o se preferite della massima iniquità sociale: la flat tax, ovvero la "tassa piatta" con una stessa aliquota per il precario sotto i mille euro al mese come per i Paperoni dai redditi milionari.

Da notare che, tra le tante tasse che i comuni cittadini pagano ogni anno, l'Irpef è l'unica che mantiene un criterio di progressività. L'unica dunque che in qualche modo è ancora in linea con la prescrizione del citato art. 53 della Carta del 1948. Per il resto - dall'IVA alle accise, dall'IMU ai redditi da capitale - è già "tassa piatta". A tanta iniquità accumulata negli anni, si vorrebbe adesso aggiungere anche la flat tax.

  L'Italia un residuo del "socialismo reale"?  

Qualcuno penserà che sia cosi dappertutto, ma non è questa la realtà. In alcuni paesi occidentali (quelli che spesso ci vengono portati ad esempio) la progressività non è limitata all'imposta sul reddito. In Francia, ad esempio, vige un'«imposta sulla fortuna» (di fatto una patrimoniale) che, fatta salva una no tax area di 732mila euro, applica un'imposta che va dallo 0,55 all'1,80% del patrimonio. Altrettanto interessante è il caso della Gran Bretagna, dove i dividendi percepiti dalle persone fisiche sono tassati dal 7,5 al 45% in base al reddito, una bella differenza rispetto alla tassa piatta del 26% applicata per tutti in Italia.


Ma non complichiamo troppo le cose e concentriamoci sull'Irpef. A sentire i sostenitori della flat tax sembrerebbe quasi che l'Italia sia una sorta di residuo del "socialismo reale", con un sistema di tassazione dei redditi troppo ancorato ai principi di una Costituzione che si vorrebbe altrettanto socialisteggiante. Ma è davvero così? A guardare gli altri 4 maggiori paesi dell'Europa occidentale, non sembrerebbe proprio.

In Germania l'imposta sul reddito va dal 15 al 45%, in Gran Bretagna dal 10 al 45%, in Spagna dal 24,75 al 52%, in Francia (dove vige un sistema per unità familiare) si va dal 6,83 al 48,09%. In tutti questi paesi la tassazione è dunque più progressiva che in Italia. Che il socialismo sia avanzato al di là delle Alpi senza che ne ce ne fossimo accorti? La realtà è che le nostrane classi dominanti sono ancora più voraci che altrove.

Quali sono, viceversa, i paesi dove la flat tax è in vigore? L'elenco è troppo pittoresco per non citarlo integralmente. Partiamo, in ordine rigorosamente alfabetico, dall'Europa: Abkhazia, Andorra, Bielorussia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Lituania, Lettonia, Macedonia, Ossezia del Sud, Romania, Russia, Serbia, Transnistria, Ucraina.

Proseguiamo con il resto del mondo: Arabia Saudita, Belize, Bolivia, Grenada, Hong Kong, Kazakhstan, Kirghizistan, Madagascar, Mauritius, Mongolia, Montenegro, Paraguay, Sant'Elena, Seychelles, Trinidad e Tobago, Turkmenistan, Tuvalu.


Questo elenco ci mostra come gli Stati (in alcuni casi sotto-stati) con la flat tax appartengano, salvo rarissime eccezioni, a tre precise categorie: (1) paradisi fiscali di varia natura, (2) stati largamente malavitosi e - soprattutto - (3) stati fortemente oligarchici, come la Russia, i paesi dell'ex Urss ed altri appartenenti al vecchio blocco sovietico.

E' quello il modello sociale che vogliamo perseguire? Dovrebbe essere questa la prima domanda da porsi se si intende discutere seriamente di flat tax.

Dopo queste premesse di carattere generale, veniamo ora alle due proposte di "tassa piatta" attualmente in campo. La prima, lanciata da Armando Siri e dalla Lega salviniana; la seconda, formulata dall'Istituto Bruno Leoni (IBL) con appoggi ben più potenti.

  La proposta Siri-Lega Nord  

E' questa la prima proposta avanzata in ordine di tempo. Essa si basa su una tassa piatta del 15% su tutti i redditi, rimodulata poi in minima parte con il seguente sistema di deduzioni: 3mila euro per ogni componente della famiglia fino ad un reddito di 35mila euro; 3mila euro per ogni familiare a carico per redditi da 35mila a 50mila euro; nessuna deduzione sopra i 50mila euro di reddito. Da notare che i redditi di cui sopra non sono più da intendersi (come nel sistema attuale) come individuali, bensì come redditi familiari, frutto cioè del cumulo dei proventi di tutti i membri della famiglia.

E' grazie all'espediente di queste deduzioni di nuovo tipo che si vorrebbe dare una parvenza di progressività a questo sistema di flat tax. Vedremo più avanti, cifre alla mano, come questo sia davvero un trucco di bassa Lega.

Ma prima occupiamoci di un altro aspetto. Quindici percento è un numeretto ammiccante, ma come pensa il Siri di far quadrare i conti? Ovvio che per un prestigiatore come lui questo non può essere un problema. L'ideologo fiscale (sic!) di Salvini spara queste cifre: a fronte di un gettito attuale dell'Irpef secondo lui di 150 miliardi (vedremo poi come stanno davvero le cose) la sua proposta determinerebbe un ammanco di 40 miliardi, ma nessun problema perché 6 miliardi si otterrebbero con l'incremento dell'IVA dovuto alla
crescita dei consumi (boom!), 28 miliardi verrebbero recuperati con l'emersione del sommerso (doppio boom!), un miliardo e mezzo dall'aumento dell'occupazione e così via.

Il Siri è certamente fantasioso, ma ancor più è un imbroglione. Intanto il gettito dell'Irpef, certificato dal MEF, è stato nel 2016 non di 150, bensì di 180 miliardi e 673 milioni. Dunque - prendendo adesso per buoni i suoi stessi conti (ma vedremo fra poco che non lo sono affatto!) l'ammanco determinato dalla sua proposta non è di 40, bensì di oltre 70 miliardi di euro. Ma che volete che sia, lui ha arrotondato un po', e poi chi volete mai che vada a controllare certi calcoli!

Invece, già che ci siamo, controlliamoli fino in fondo. Il fiscalista di Salvini ci parla di una base imponibile di 800 miliardi. Ora, chiunque compili una dichiarazione dei redditi sa che l'imposta media attuale non può essere inferiore al 20%, dunque mai e poi mai un imponibile di 800 miliardi poteva dare un gettito di soli 150 miliardi (18,75%) come preteso furbescamente dal Siri. Difatti i conti del MEF ci parlano di una percentuale assai diversa, quella di un'imposta media del 22,50%, una differenza non piccola. Ma quale sarebbe invece l'imposta media della proposta leghista? Siccome il massimo è comunque il 15%, ma giacché sono previste le deduzioni di cui abbiamo parlato, l'imposta media (ricavabile anche dai casi ipotizzati nello specchietto presentato nel video già citato) dovrebbe attestarsi sul 12%, pari ad un gettito di 96 miliardi di lire. Come si può notare, a conti fatti, la cifra mancante non solo non è quella dei 40 miliardi del discorsetto truffaldino di questo illusionista da quattro soldi, ma non è neppure quella di 70 miliardi cui eravamo già arrivati in base ai dati del MEF, bensì quella di 84 miliardi di euro. 

Ora, se c'è chi vuol continuare a prendere sul serio un personaggio di questo tipo si accomodi pure. Il grave è che c'è persino qualcuno che ritiene ancora che la Lega possa essere una forza in qualche modo keynesiana! Da questo punto di vista il Siri però ci aiuta a fare chiarezza, perché secondo lui il modo di uscire dalla crisi è quello di togliere risorse allo Stato per darle ai ricchi, perché solo così aumenterebbero consumi e investimenti. Ovviamente il nostro non dice di voler perseguire una politica di tagli alla spesa pubblica (salvo i famosi "sprechi"), ma è proprio questa politica l'inevitabile conseguenza della sua proposta. L'idea leghista è dunque un'idea ultra-liberista, l'idea di un "Stato minimo" assoggettato alla potenza del capitale, una potenza alla quale si piega anche rinunciando a quel minimo di redistribuzione ottenibile con un sistema fiscale improntato ad un criterio di progressività.

  La proposta dell'Istituto Bruno Leoni (IBL)  

Pur perseguendo lo stesso obiettivo, la proposta dell'IBL sta a quella della Lega come la pesantezza dei suoi estensori (tra i quali citiamo Nicola Rossi, Franco Debenedetti, Natale D'Amico, Oscar Giannino e Luca Ricolfi) sta all'aria spiritata del Siri.

Detto in altri termini, la proposta dell'IBL è ben più organica, più precisa, più realistica; in altre parole essa è assai più pericolosa di quella della Lega. Nondimeno, se l'ideologo salviniano è assolutamente irraggiungibile come prestigiatore, il presidente dell'IBL Nicola Rossi non è da meno in quanto a sfrontatezza. Secondo lui flat tax ed equità fiscale sono semplicemente la stessa cosa. Da notare che, politicamente parlando, questo figuro non viene da destra, bensì dal centrosinistra ulivista, di cui è stato uno degli economisti di punta nella prima decade del secolo.

Ma quali sono gli aspetti essenziali della proposta dell'IBL?
In primo luogo, l'aliquota piatta verrebbe fissata al 25%, da calcolarsi anche in questo caso sul reddito familiare. All'imponibile verrebbe applicata una deduzione fissa di 7mila euro per un nucleo di una persona. Per i nuclei più numerosi è previsto un incremento in base ad una scala di equivalenza sul modello dell'ISEE.

In secondo luogo - e qui la differenza con la proposta salviniana è netta - IMU ed IRAP verrebbero semplicemente abolite, mentre IVA, IRES e tassa sugli interessi verrebbero portate tutte al 25%. Ma siccome il 25% è la cifra magica di questa congrega di assatanati ultra-liberisti, si lascia aperta la porta ad una futura riduzione (al 25%, appunto) degli stessi contributi previdenziali.

In terzo luogo, l'IBL non si nasconde le cifre reali in ballo. L'Istituto presieduto da Nicola Rossi ammette minori entrate per 95,4 miliardi, da compensare con 64,2 miliardi di minori uscite già indicate nel testo ed altri 31,2 miliardi da ottenersi con un'ulteriore spremuta di spending review. Insomma, un complessivo ridisegno della società rispetto al quale l'esercizio del Siri appare come il frutto del dilettantismo di un ragazzotto padano pasticcione assai.

Tante sarebbero le osservazioni da fare al progetto IBL. Ma qui dobbiamo limitarci all'essenziale.
"Dio li fa poi li accoppia"

Intanto non c'è bisogno di lunghe analisi per capire chi guadagnerebbe maggiormente da un'abolizione dell'IMU, come pure non è difficile comprendere chi verrebbe maggiormente colpito dall'aumento dell'IVA al 25%. In proposito ci sia consentita una digressione sulla pesantezza di questa tassa (oggi al 22%) al cospetto di quanto in vigore negli altri principali paesi europei. L'IVA è infatti al 19% in Germania, al 19,6% in Francia, al 20% in Gran Bretagna, al 21% in Spagna. Non contenti di questo scarto già esistente, all'IBL vorrebbero spingersi ancora più avanti, ma immaginare un 25% per un paese in crisi di consumi come l'Italia è cosa davvero folle.

Ancora più importante è il progetto di distruzione integrale di ciò che resta del sistema previdenziale e di quello sanitario. Sul primo è evidente che la riduzione dei contributi dal 33 al 25% avrebbe esiti assolutamente esiziali, mentre nel campo sanitario il documento dell'IBL mira esplicitamente a favorire il settore privato (incluso quello assicurativo).

Ma la furia distruttrice di questi invasati non ha limiti. Come abbiamo già detto, nel loro testo c'è la volontà di cancellare integralmente numerose prestazioni sociali, per un totale di 64,2 miliardi (md). Tra queste citiamo alcune voci: pensione e assegno sociale (4,8 md), prestazioni invalidi civili (15,9 md), altri assegni e sussidi (13,9 md), integrazioni al trattamento minimo (9,5 md), assegni familiari (6,2 md).

Un vero e proprio massacro sociale, a danno dei settori più deboli della popolazione, questo il loro disegno. Ma siccome anche questi tagli draconiani non gli basterebbero ancora, bisognerebbe poi individuarne altri per 31,2 md.

Ecco i veri effetti della flat tax. Effetti non esplicitati nella versione leghista, ma solo per ragioni di prudenza politica, perché è chiaro che sempre lì si andrebbe a parare. Ed abbiamo visto, oltretutto, che il buco nei conti previsto dall'IBL (95,4 md) è abbastanza vicino a quello da noi calcolato per la proposta Siri (84 md). Può sembrare strano che si arrivi a questi dati partendo da due basi (15 e 25%) così differenti, ma ciò dipende dalle diverse deduzioni previste e soprattutto dal fatto che l'IBL propone l'abolizione integrale di IMU ed IRAP.


  Chi ci guadagnerebbe veramente con la flat tax
ovvero le cifre che Armando Siri e Nicola Rossi non vi faranno vedere mai  

Se non è necessario spendere altre parole affinché si comprenda chi pagherebbe le conseguenze della flat tax in entrambe le sue versioni, è utile invece soffermarsi su chi avrebbe davvero molto da guadagnarci. In proposito, i diretti interessati si schermiscono, quasi si trattasse di un dettaglio del tutto secondario. Lo sforzo di voler far credere che il loro non sia un modello appositamente studiato per la gioia dei ricchi è però assolutamente comico. Nondimeno essi si danno da fare con l'argomento che tutti ci guadagnerebbero. Sì, tutti. Con gli effetti che abbiamo visto, ma quanto davvero ci guadagnerebbe il lavoratore da 20mila euro di reddito, il professionista da 50mila, quello da 100mila, il riccastro da 300mila ed il riccone da un milione di euro? Ecco, questo non ve lo dicono e - se non costretti - non ve lo diranno mai.

Ci siamo perciò presi la briga di fare qualche calcolo per dirvelo noi.

Onde non riempire inutilmente troppe pagine, abbiamo semplificato questa operazione prendendo in considerazione nuclei di una sola persona. Questo non solo perché oggi l'Irpef si calcola individualmente, ma anche perché la proposta IBL è ancora imprecisa sul punto delle deduzioni per i nuclei più numerosi. In ogni caso, non saranno certo questi dettagli ad inficiare delle conclusioni che non potrebbero risultare più chiare.

TABELLA 1 - Tassazione Irpef attuale e tassazioni previste dalle due proposte di flat tax

Nella tabella 1 si è calcolata l'Irpef per i più diversi livelli di reddito, mettendo a confronto la tassazione attuale con quella derivante (deduzioni incluse) dalle due proposte di cui ci stiamo occupando.

Basta leggersi con un minimo di attenzione questi numeri per capire cosa sia la flat tax. Ma per i più pigri proponiamo anche la tabella 2, dove sono leggibili i guadagni che otterrebbero i vari redditi presi in esame.



TABELLA 2 - Chi ci guadagna con la flat tax



Le cifre sono chiare: se con la proposta IBL il precario Mario Rossi (reddito di 20mila euro) risparmierà 250 euro, il notaio Luigi Bianchi (reddito di 300mila euro) ne guadagnerà 48.920, mentre il banchiere Giuseppe Verdi (reddito di 5 milioni di euro) ne intascherà 894.920. Detto in altri termini, la riduzione ottenuta da Mario Rossi sarà pari a 1/3579vesimo (un tremilacinquecentosettantanovesimo) di quella di Giuseppe Verdi.

Facciamo ora lo stesso calcolo sulla base della proposta Siri-Lega. In questo caso il precario Rossi vedrà aumentare il suo risparmio a 950 euro, peccato che il notaio Bianchi lo surclassi con il suo guadagno di 77.170 euro, per non parlare del solito banchiere Verdi che beneficerà di una riduzione fiscale di ben 1.393.170 euro. Per gli amanti delle statistiche segnaliamo che in questo caso il risparmio del Rossi sarà pari a 1/1466esimo (un millequattrocentosessantaseiesimo) di quello del banchiere Verdi.

Che di fronte a simili numeri vi sia chi ha il coraggio di parlare di proposta win win, dove tutti guadagnano, non ha bisogno di commenti. Non solo per le enormi sproporzioni messe in evidenza, ma anche perché saranno proprio quelli come il nostro Mario Rossi (ma la cosa vale anche per le classi di reddito immediatamente superiori alla sua) ad essere chiamati a pagare gli enormi tagli alla spesa sociale derivanti dall'applicazione della flat tax. Tagli che il pittoresco Siri finge di non vedere, ma che l'austero IBL ha avuto perlomeno il merito di spiattellarci senza pudore alcuno.

Ora qualche burlone obietterà che non bisogna fare gli schizzinosi, che i risparmi ci sono per tutti e che in fondo i percettori di redditi alti sono pochi. Premesso che anche se ciò fosse vero il discorso non cambierebbe di una virgola, chi l'ha detto che sono così pochi? Volutamente, nell'esempio di cui sopra, abbiamo citato i banchieri, i cui redditi ultramilionari stanno sulle pagine dei giornali. Ma non ci sono solo loro, basti pensare ai grandi industriali, agli amministratori delegati dei grandi gruppi, o se vogliamo a certi artisti e calciatori.

Certo, questa bella congrega riesce spesso ad occultare buona parte dei propri redditi, ma è questo un buon motivo per fargli pure un mastodontico regalo sulla parte che non possono fare a meno di dichiarare? Per i sostenitori della flat tax, evidentemente sì.

In ogni caso è bene sapere che in Italia (vedi i dati del MEF) ci sono 355mila soggetti che dichiarano redditi da 100 a 200mila euro, ce ne sono altri 50mila che si collocano tra i 200 e i 300mila, mentre sono circa 34mila i soggetti sopra i trecentomila euro.

Sarebbero questi i vincitori assoluti della truffa denominata flat tax. Curiosamente, in un paese dove ci si pone (peraltro giustamente) l'obiettivo di ridurre i privilegi dei parlamentari, nessuno apre bocca sullo scandalo di proposte fiscali che si prefiggono di rendere ancor più privilegiati coloro che privilegiati (e non solo per il reddito) già lo sono ora.

Nel 2004 l'Espresso gridò allo scandalo perché, grazie alla sua riforma fiscale, Silvio Berlusconi (allora a capo del governo) avrebbe risparmiato annualmente ben 764.154 euro. Bene, cioè malissimo, adesso siamo di fronte a due proposte che fanno apparire quella del Berlusconi 2004 una ragazzata e tutto tace.

Ma visto che l'Espresso non fa più certi calcoli, siamo costretti a farli noi. Con una recente sentenza,  relativa alla separazione con la sua ex moglie, la Cassazione ha quantificato in 53 milioni di euro il reddito medio dell'ex cavaliere. Qual è allora il risparmio annuo che egli otterrebbe con le due ipotesi di flat tax di cui ci stiamo occupando? Nove milioni e 534mila (per l'esattezza 9.534.920) euro con la proposta IBL, cioè 12 volte il guadagno del 2004; 14 milioni e 833mila (per l'esattezza 14.833.620) nella versione leghista, cioè 19 volte quanto lucrato tredici anni fa.

Quello di Berlusconi è per noi solo un esempio. Ma un esempio che abbiamo usato volutamente, sia per segnalare l'ipocrisia di certa sinistra sistemica (che si scandalizza di fronte ad un avversario politico, ma non davanti al colossale privilegio di un'intera classe dominante), sia  per denunciare l'attuale silenzio su un tema che vede invece ormai in campo i pezzi da novanta del mainstream ultra-liberista.

  Conclusioni  

Davanti a questo scenario sarà bene prendere in mano, e con decisione, la questione fiscale. Non solo essa non è un dettaglio, come spero si sia capito anche da questo articolo, ma esiste il rischio concreto che sia proprio questo il grimaldello per un'ancor più profonda controrivoluzione sociale a danno del popolo lavoratore.

Il perché esista un rischio di questo tipo è presto detto. Perché è effettivamente vero che la pressione fiscale è diventata insostenibile. E' effettivamente vero che spesso i cittadini impazziscono di fronte alle varie scadenze fiscali. E' effettivamente vero che si esercita un accanimento continuo allo scopo di raschiare il barile. Ed è facendo leva su queste verità che i sostenitori della  flat fax offrono la loro risposta: tagliare fortemente le tasse (abbiamo visto per chi, ma senza una battaglia politica anche questo rischia di apparire un dettaglio), amputando ben più di quanto si sia visto finora la spesa sociale.

Di fronte a questo disegno la risposta più tragica è quella che viene dalla "sinistra" europeista, che nella sostanza sa solo replicare che le tasse non si possono in alcun modo ridurre in ossequio alle regole del Dio Euro.

In realtà - all'imprescindibile condizione di rompere con la gabbia della moneta unica - le tasse si possono ridurre eccome, ma il problema non è il "se", bensì il "come" ridurle.

Starebbe alle forze più consapevoli che si sono battute per il NO al referendum del 4 dicembre prendere l'iniziativa su questa decisiva materia. Una materia che ci rimanda direttamente al cuore della stessa Costituzione del 1948.

Ma, sia chiaro, "prendere l'iniziativa" è l'esatto contrario della semplice difesa dello status quo. Occorre dunque contrapporre alla controriforma liberista della flat tax, una riforma sociale dell'intero sistema fiscale basato su principi non di uguaglianza formale (come il 15 o il 25% per tutti), bensì di uguaglianza sostanziale.

Nella modestia delle nostre forze discutiamo di questi temi da anni. Lo facciamo all'interno di un ragionamento complessivo sulle misure urgenti che dovrebbero accompagnare l'uscita dall'euro e dall'Unione Europea. Credo, però, che questa discussione possa interessare una platea assai più vasta di quella coinvolta finora.

In ogni caso le idee non mancano. Ma su questo vedremo di tornare nel dettaglio in un prossimo articolo. Intanto spero si siano capite le ragioni del NO cubitale che dobbiamo opporre ad ogni proposta di flat tax, smascherando anche quei finti sovranisti alla Salvini che immaginano evidentemente una "sovranità" ad uso e consumo dei soliti noti.

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Bravo Leonardo, la questione fiscale è assolutamente centrale. Magari andrebbe ricordata anche ai mmtters e a coloro che pensano di evitare questo problema con l'emissione di moneta

Anonimo ha detto...

La proposta della Lega è una follia o peggio un crimine. Quando dico: uscire dall'euro è il primo punto, ma non il solo, penso proprio alla flat tax. Salvini vuole uscire dall'euro, ma poi vuole distruggere scuola, santità, assistenza, pensioni...per fare sconti milionari ai super ricchi! Ecco perché serve una svolta di sinistra. Ora poi ci ha ripensato: dall'euro non vuole nemmeno più uscire. E' tornato il padano di prima: alla fin fine quello che vuole, con una proposta così, è distruggere l'Italia.

Giovanni ha detto...

Al riguardo della mmt il commento 16:57 è appropriato, però pur non essendo un mmt vorrei aggiungere qualcosa.

Certamente mmt presta il fianco all'idea che la questione fiscale sia secondaria e risolvibile con la semplice emissione di moneta. Presta anche il fianco all'idea che job-guarantee (o minijob-guarantee) da sola sia la panacea di tutti i mali. Due illusioni pericolose.

Tuttavia i gruppi mmt i cui siti ho letto, alcuni grossi ed altri più piccoli, si sono sempre dichiarati contrari alla flat-tax.

Certo non mancano liberisti in quel caravanserraglio, preferisco non far nomi, occorre però evitare che costoro prevalgano. Perché finora mmt (e questo è il suo più grande merito) è l'unica proposta che riconosca la necessità di un radicale cambiamento nel meccanismo di allocazione della forza lavoro. Un idea che neppure i più radicali comunisti, sempre refrattari a proposte troppo audaci (non mi riferisco certo a sollevazione), sono riusciti a portare avanti in maniera incisiva.

Fiorenzo Fraioli ha detto...

"finora mmt (e questo è il suo più grande merito) è l'unica proposta che riconosca la necessità di un radicale cambiamento nel meccanismo di allocazione della forza lavoro"

Parliamo anche del grande demerito di mmt: essere stata funzionale all'operazione di spostare la discussione dalla lotta di classe per orientarla verso la ricerca di meccanismi capaci di far funzionare il sistema in modo più equo dal punto di vista distributivo. E invece no! No! No! Da che mondo e mondo il conflitto distributivo discende dall'equilibrio delle forze sociali e politiche in campo. La mmt ha messo la mordacchia alla necessità di organizzare POLITICAMENTE il mondo del lavoro. Come il m5s peraltro. Due carabinieri con la stessa mission. La lotta politica è la sola risposta, partecipare alla vita democratica (quindi difendere la Costituzione) e lo strumento che dobbiamo usare.

Gustavo ha detto...

Non mettendo in discussione il filo logico dell'articolo ,che approvo pienamente , ma rimanendo nel mondo reale , terra-terra , siamo veramente sicuri che all'atto pratico , ad un'azienda , professionista , partita iva , la flat tax sia piu' conveniente dell'attuale sistema fiscale con tutta la giungla di deduzioni , detrazioni , agevolazioni , incentivi ,sconti , e chi piu' ne ha piu' ne metta , vedi il superammortamento del 140% attuale e che quindi non siano altro che promesse che non si manterranno della solita destra buttate li' solo per vincere le elezioni.Solo un esempio , pensiamo che la potentissima lobby dell'automotive ,che muove cosi' tanto il pil ,sia favorevole alla flat tax , e la accetterà passivamente ?

Alberto ha detto...

M'inserisco sulla divagazione MMT per aggiungere che questa "teoria" non solo dimentica, ma svilisce il senso della fiscalità nel definire la moneta. Per una teoria monetarista la cosa è intollerabile, e si capisce solo con il pedigree degli estensori della MMT, a cominciare dal guru di formazione borsistico-speculativa, ingannevolmente inteso come "fulminato sulla via di Damasco".
Non si da moneta moderna senza relativa fiscalità, questo è un fatto storico, che convalida empiricamente quanto dice la pura e semplice logica: lo Stato legifera e garantisce applicazione e rispetto delle regole, ma non solo quelle per i soggetti privati. Ogni Stato con la fiscalità si dimostra il principale attore economico del sistema-paese, e non potrebbe essere altrimenti. Maastricht, nel suo orrore ideologico, è solo un di cui della definizione della moneta e relative regole economico-commerciali. Non a caso la gestione della fiscalità è stata lasciata agli Stati, salvo condizionarla col ricatto dei debiti pubblici e privati (più precisamente prima privati, pena del perdente, e di conseguenza pubblici).
Eppure si continua a dividere i ruoli nella gestione monetaria: tutto ai soggetti privati tranne la fiscalità. Questo è il colmo dell'ipocrisia per qualsivoglia teorico della moneta, che non vuole riconoscere l'ovvio, ovvero l'importanza determinante della fiscalità per la stabilità sistemica e per la decisione politica sulle politiche economiche, per via monetaria.

Giovanni ha detto...

I demeriti di MMT certamente ci stanno e mi pare di averne sottolineato alcuni. Chi però vuole riparlare del conflitto sociale deve anche fare una proposta altrettanto radicale su come vuole organizzare l'allocazione della forza lavoro perché la sola petizione di principio "piena occupazione" non basta. Questa cosa purtroppo manca. Se non la si fa si sarà solamente lasciato il campo ad MMT ed ai suoi difetti. Dalla minjob-guarantee, all'assenza di una connotazione di classe, al guru finanziario che, aggiungo io, continua a parlare di lavoro di transizione "al privato", cosa intollerabile.

Anonimo ha detto...

Che dire, impeccabile come sempre, tra l'altro la questione fiscale è uno dei punti fondamentali che possono ancora far capire la differenza tra il concetto di sinistra e quello di destra.

Pigghi

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