giovedì 16 febbraio 2017

VIZI E VIRTÙ DEL POPULISMO A 5 STELLE di Enrico Padoan

[ 16 febbraio ]

Cos’ha apportato il Movimento 5 Stelle alla prospettiva di un populismo democratico? E cosa promette di apportare? Si potrebbero offrire due risposte lapidarie: “abbastanza” e “poco o nulla”, rispettivamente.
La “finestra populista” nasce quasi sempre da una crisi della democrazia rappresentativa. Si tratta innanzitutto di un enorme aumento della distanza fra la legittima autorità ed il “popolo”. Una distanza provocata da una classe politica autoreferenziale, per la quale il concetto di accountability è un guscio vuoto che non va oltre una legittimazione elettorale sempre più fragile e distaccata. Una distanza che è allo stesso tempo una causa ed una conseguenza di un modello (neoliberista) sociale, economico e politico in palese crisi, ma che ha provocato (e si è alimentato di) una crescente atomizzazione della società, una forte diminuzione della partecipazione politica a tutti i livelli, una estrema stratificazione sociale che rende sempre più difficoltosa quella stessa partecipazione per i vasti strati di cittadini impoveriti e precarizzati. In poche parole, la creazione di società a multiple velocità (e differenti diritti reali), in cui pochi sedicenti esperti amministrano la cosa pubblica e i politici di professione (ovvero coloro che “sanno come prender voti”) si occupano di riempire le istituzioni pubbliche e di legittimare decisioni prese altrove.
Uno dei meriti del M5S è stato quello di portare avanti un discorso teso a smascherare questo stato delle cose. Il movimento di Grillo ha denunciato l’uso strumentale dell’asse sinistra-destra per legittimare una competizione elettorale che, al netto di sfumature valoriali, offre un risultato sempre identico: la perpetuazione, l’ostinata resilienza del modello neoliberalista. Ha denunciato il volontario svuotamento delle istituzioni dello Stato-nazione a favore di organismi sovranazionali privi persino di quella disincantata legittimazione elettorale che esiste a livello nazionale ed assolutamente impenetrabile a gruppi portatori d’interessi diversi da quelle delle élites economiche che beneficiano dello status quo. Come conseguenza, ha correttamente denunciato come allo stesso tempo inutili e dannosi i rappresentanti (di chi?) della classe politica italiana.
I correttivi del M5S si basano sulla ri-occupazione, da parte dei cittadini, delle istituzioni pubbliche nazionali e locali, attraverso un forte rifiuto dell’istituto di rappresentanza inteso in senso formalistico-delegativo. Nella delega parlamentare risederebbe il problema principale: quest’istituto avrebbe permesso trasformismi, perdita di accountability, svuotamento di significato dello strumento elettorale, cooptazione dei rappresentanti parlamentari da parte di gruppi d’interesse con maggiori disponibilità economiche e finanziarie per far sentire la propria voce al momento della creazione ed implementazione di politiche pubbliche. Si dovrebbe quindi, secondo gli esponenti del movimento di Grillo, limitare fortemente l’azione dei parlamentari e farli diventare portavoce dei cittadini, i quali elaborerebbero in forma partecipativa il programma elettorale. Basta con i trasformismi, basta con le deleghe.
Il M5S si pone quindi, a differenza di altre esperienze populiste emerse dalla destra, in una posizione più promettente per la causa democratica. I populismi di destra si contraddistinguono per un’impronta marcatamente delegativa: si presenta un leader forte che pretende di incarnare i valori del “popolo”, della “maggioranza silenziosa”, promettendo di mettere un punto finale ai parlamentarismi, alle istituzioni orizzontali di controllo, per porre in atto politiche rispondenti a quei valori. Inutile dire che questo “popolo”, e questi “valori”, rappresentano costruzioni sociali ad uso e consumo di progetti reazionari. Quello che qui mi preme sottolineare, però, è la conseguente legittimazione di una politica basata sull’uomo forte che “sistemi le cose”, spingendo ancor di più il “popolo” verso una dimensione esclusivamente privata dell’esistenza, una volta eliminata la fonte dei suoi problemi, ossia una classe politica “parassitaria, autoreferenziale e parolaia”.
Inutile sottolineare i pericoli derivanti da siffatta impostazione autoritaria. Va reso merito dunque al M5S l’elaborazione di un discorso basato sulla ri-attivazione del cittadino, sull’invito alla sua partecipazione alla cosa pubblica con il fine di riappropriarsene, con la convinzione che ciò porti ad una politica più efficiente e trasparente. Al di là delle caricature che circolano sui militanti 5 stelle (e sul loro elettorato), va dato loro atto di aver contribuito ad un recupero del valore positivo della parola “politica”: dopo decenni in cui veniva ripetuto agli italiani che questa andava sacrificata sull’altare dell’economia (leggi neoliberismo), il M5S ha (in parte) contribuito a smascherare l’estrema politicità del mondo in cui viviamo e delle scelte economiche in senso neoliberista, che, lungi dall’essere the only game in town, sono espressione di un preciso disegno di redistribuzione in senso regressivo. L’impianto valoriale del M5S si basa, per lo meno in origine, sull’idea che una politica partecipata e partecipativa può ridare significato al concetto di cittadino e, al tempo stesso, può rendere più efficiente la gestione della cosa pubblica e le scelte di politica economica e sociale (fra le altre).
Uno dei lati oscuri di quest’esperimento può essere individuato nella “variante populista” percorsa dai Cinque Stelle. Si tratta di una variante probabilmente implicita e sicuramente non elaborata teoricamente o discussa all’interno del M5S, la quale si avvicina decisamente alle descrizioni in voga negli ambienti politologici piuttosto che in quelli teorico-politici. È d’uso negli ambienti politologici (vedi la popolare definizione proposta da Cas Mudde) leggere nel populismo un’ideologia [?] anti-pluralista che considera la società divisa fra “un’élite corrotta” ed un “popolo puro”, e che propugna una nuova politica rispondente alla volontà generale del popolo. In questo senso, il M5S si inserisce pienamente nella famiglia populista. La differenza fra l’esperienza del Movimento di Grillo ed una Lega Nord risiede non solo (e non tanto) nella diversa concezione di “popolo”, ma nelle modalità attraverso cui questa stessa volontà generale emerge: non da un capo assoluto sobillatore di folle, ma da una libera discussione fra cittadini spogliati da appartenenze e lealtà ideologiche, secondo la massima “non esistono idee di sinistra o di destra, ma soltanto buone idee”.
Sarebbe sin troppo facile puntare il dito sulle evidenti mancanze di democrazia interna del Movimento 5 Stelle, sul ruolo di Grillo e di Casaleggio, sul loro potere d’agenda e di scomunica, ed anche sulla miserrima produzione intellettuale dei portavoce/rappresentanti del Movimento 5 Stelle a tutti i livelli. Sarebbe facile fuorviante, perché legittimerebbe quelle correnti interne al Movimento 5 Stelle (presto o tardi condannate all’emarginazione interna e all’espulsione) che ne mettono in questione l’evoluzione organizzativa, ma non i presupposti di fondo. Il vero problema, a mio avviso, sta nella concezione di base, che oltre ad aver facilitato una gestione caudillista del partito (perché di questo si tratta), contiene in nuce un potenziale rafforzamento della concezione neoliberalista della politica.
Il M5S nasce con la convinzione di poter rendere la politica rispondente alla volontà generale piuttosto che ad interessi particolari. Si tratta di una visione legalista, istituzionalista ed anti-corporativa: viene negata ogni funzione rivendicativa dei corpi intermedi, i quali vengono relegati a gruppi portatori d’interesse particolare i quali possono essere tenuti in maggior o minore considerazione, ma in definitiva vagliati dal partito, autoproclamatosi società civile. Il che può combaciare perfettamente con una visione liberale-pluralistica della politica, una visione che nel migliore dei casi può essere considerata ingenua – ma che sarebbe bene descrivere come reazionaria. Una visione che postula la buona politica come una politica efficiente perché risultato della libera discussione fra cittadini, i quali valuterebbero autonomamente le istanze portate avanti da diversi gruppi sociali particolaristici, dotati di eguali risorse per portare avanti i loro obiettivi. Una visione che nega il conflitto sociale, riducendolo ad espressione di interessi egoistici privi dell’ispirazione generale che animerebbe il Movimento di Grillo.
Si tratta di una visione ingenua, perché parte dal presupposto che sia possibile far fronte alle pressioni delle élite attraverso una libera discussione interna, come se non esistessero migliaia di strategie a disposizione dei potenti per influenzare le coordinate del dibattito (per tacere della precaria organizzazione interna del partito di Grillo che lo rende “scalabile” con relativa facilità), e come se le risorse a disposizione delle diverse lobbies esistenti si equivalessero e si sostanziassero solamente attraverso tangenti e prebende. Per tacere poi dell’asimmetria esistente fra gli stessi leaders del partito e le basi, con i primi che godono di un’infinità di strumenti per condurre il dibattito verso posizioni predefinite. Si tratta di una visione reazionaria, perché, inter aliala dicotomia fra interessi generali ed interessi particolari è completamente fittizia e normativa, ed usata, ad esempio, per giustificare la progressiva perdita di diritti nel mondo del lavoro sull’altare della produttività. Si tratta di una visione legalista ed istituzionalista perché, a dispetto della retorica partecipativa del partito di Grillo, si basa sull’imprimatur definitivo del voto popolare ad un programma più o meno collettivamente elaborato ma che viene poi utilizzato per delegittimare quei (veri) movimenti sociali che non vedono le loro domande soddisfatte dal partito, e che potrebbero ben essere attaccati per la loro parzialità.
Si tratta, in sintesi, di una proposta politica che conduce all’anti-politica, nel senso di negazione del conflitto sociale e nella delegittimazione progressiva di esperienze sociali indipendenti. Si tratta di una visione statica che nega la possibilità ad altre forze sociali e politiche di avere una propria voce all’interno dello Stato e della società. L’ipotesi populista democratica non si basa sulla dicotomia fra interessi generali ed interessi particolari, bensì sul riconoscimento (piuttosto ovvio) che determinati interessi particolari sono stati spacciati per generali ad uso e consumo di un’estremamente esigua minoranza della popolazione. Si basa sulla difesa degli interessi particolari che consideriamo legittimi semplicemente perché espressione del 90% ed oltre dei cittadini. Si basa su una ripoliticizzazione a tutti i livelli della società, per apportare quelle risorse necessarie alla mobilitazione popolare al fine di pareggiare e superare le risorse economiche delle élites al governo.
Questa mobilitazione non può risolversi in un dibattito fra “cittadini illuminati” (per quanti essi siano) presumibilmente (e presuntuosamente) liberi da influenze ideologiche o interessi privati. Questa mobilitazione deve partire dal basso, da organizzazioni che si sviluppano attorno differenti istanze e dimensioni territoriali. Compito di un progetto populista democratico è quello di dare supporto e sbocco a queste organizzazioni, senza pretese di controllo, bensì dialogando con esse, sulla base di valori socio-politici avanzati e condivisi. Compito di un progetto populista democratico è portare le istituzioni nelle piazze e viceversa, creando uno spazio politico condiviso in cui trovare una sintesi di determinate istanze basate su quei valori avanzati. Compito di un vero progetto populista democratico è riconoscere che la valorizzazione dei corpi intermedi è fondamentale, che il pluralismo è una conditio sine qua non della sovranità popolare, e che il pluralismo nasce da, e passa attraverso, la legittimazione e l’incentivazione dei corpi intermedi. Non di tutti i corpi intermedinon di qualsiasi organizzazione, beninteso, bensì di quelle che portano avanti gli interessi particolari del 90% ed oltre del popolo. Del nostro popolo, che è maggioranza, e che dobbiamo imparare ad articolare, più che a costruire.
* Fonte: Senso Comune

5 commenti:

Marco Giannini ha detto...

Concordo sul fatto che M5s abbia dato la possibilità a molti di accorgersi che destra e sinistra ormai servivano a "scollare il popolo dal benessere".
Chiediamoci però perché un attivista (come ero io) dovesse spingere per una sostanziale modifica del rapporto "ideologico" del Movimento con lo Stato.
Insistevo ad abbandonare l'idea radical liberista che Stato e posto pubblico fossero "spreco". Rimarcavo che gli investimenti a deficit in epoca recessiva e gli investimenti produttivi non erano qualcosa da evitare ma anzi da attuare.
Il M5s ha il merito di aver comunicato che "dal basso è possibile" ma doveva anche imprimere nel cittadino una spinta alla autentica rielaborazione delle proprie capacità ed all'adeguamento verso livelli di conoscenza, competenza, responsabilità d'eccellenza.
Presentarsi ad una elezione è invece ormai inteso come delega al capo politico infallibile ed il valore della "presentabilità" è stato sostituito da quello dell'"occasione della vita".
In questo modo sono più agevoli dinamiche plebiscitarie ed acritiche contro ogni forma di approfondimento e discussione.

Marco Giannini ha detto...

Una mia proposta su Rousseau prevedeva che tutte le spese per la ricostruzione da calamità naturali fossero sostenute al 100% dalla UE.
Quando mi sono cancellato dal M5s feci presente per correttezza al M5s che potevo ancora entrare su Rousseau e che dovevano provvedere a togliermi le credenziali.
Umilmente chiesi loro però di vagliare le mie proposte.
Ci avevo speso dei mesi.
Siamo così sicuri che interessi davvero la partecipazione e l'impegno dei cittadini?
I miei lavori furono immediatamente cancellati senza un"grazie" percepii un certo disprezzo.
Un mese dopo è apparso sul blog di Grillo che "il M5s difende a spada tratta la Commissione UE per quanto riguarda il provvedimento ecc ecc ecc".
Ecco il provvedimento della Commissione ricalcava la mia proposta!
Ma la Commissione veniva incensata mentre il lavoro del cittadino signor nessuno era stato sprezzantemente eliminato con un click insieme ad altri".
Anche questi particolari, tra le righe, segnalano subliminali messaggi pro establishment.
Siamo sicuri che l'interesse al cittadino sia effettivo o piuttosto uno slogan?



Marco Giannini ha detto...

Sul fatto che M5s significhi discussione, assemblea, partecipazione non concordo. Non è così. Come non esiste una democrazia reale diretta ma vere e proprie dinamiche plebiscitarie di cui il voto online è la manifestazione principe (ma si riflettono anche nelle assemblee).
Il reale stato delle cose è la Casaleggio Associati.
Dobbiamo comprendere chi debba avere il coraggio di denunciarlo.

Il M5s di Grillo non credo combatta l'establishment e questo lo dico con estremo rispetto perfino di chi, al contrario mio, crede nella globalizzazione. Lo dimostra il denunciare MPS esaltando la libera circolazione.
Il M5s è pro global anche quando si oppone al CETA. E' necessario sottolineare che l'm5s è liberissimo di esserlo perché non è un nemico chi la pensa in maniera diversa. La questione critica è la propaganda che traveste una cosa in un'altra e mette (o potrebbe mettere) a rischio il concetto stesso di democrazia.
Questo però è comprensibile solo a chi coglie certi tratti e sono certo che in questa pagina casta, cricca, legalità, ALDE, referendum ecc non passino inosservati e non siano colti come frammenti casuali.
Farage li ha obbligati un mese fa a scrivere 7 punti che facevano luccicare gli occhi a un sovranista.
Ma Borrelli pochi giorni dopo ha pubblicato il trionfo della liberaldemocrazia valore principe del M5s (sempre direttamente dal blog).
E' questione di "palato" capire cosa è meditato e cosa è autentico.
Sorvolo su come influencer e delegati condizionino il 95% delle decisioni sul territorio (e decidano i futuri "portavoce").
Altra visione pericolosamente pro oligarchica (sono certo che se ne comprenderanno gli steps) è quella che vuole risolvere il deficit di corrispondenza tra volontà popolare e legislatore. Ben venga più democrazia diretta (nel senso di stimolo alla partecipazione ed a consultazioni referendarie di alto interesse) ma al paese ciò che manca è un incremento della qualità della democrazia indiretta ed ahinoi un movimento eterodiretto da Milano (apparentemente da un blog) non migliora questo aspetto.

SOLLEVAZIONE ha detto...

Grazie Marco,

aiuti a capire molto meglio cosa sia M5S

Marco Giannini ha detto...

Voi FORMATE le persone in economia, geopolitica, dialettica ho imparato un mondo da Sollevazione perché chi come me ragiona con la sua testa e trova dei tasselli poi spesso ne fuoriesce un "eureka!". Non si impara leggendo su un solo network, si impara ragionando e poi incontrando intuitivamente, la strada. Purtroppo è una logica "di nicchia".
Ultimamente ad esempio ho compreso che Trump è America First (come CREDO fosse Reagan) mentre almeno il secondo Bush,i Clinton, Obama, Kerry sono Global First: in alcuni siti privi di catene (come questo) ho trovato persone che dicevano cose troppo simili per essere casuali (ed io non ho laurea in Scienze Politiche!).
Secondo me,ad esempio, il PCI non è un caso si sia trasformato in PDS ecc in concomitanza con caduta muro (bella scoperta) ma siccome non governava mai, con Mani Pulite ha cavalcato l'onda "Europa = legalità" poi "Europa = diritti ed organizzazione" portando un buon 40% in pasto a una vera e propria ideologia. Gli umanisti, i sociologi avete notato sono tutti intrisi di "europeismo" (al netto poi degli interessi)?
Come dice Juncker si mette una cosa sul tavolo ecc ecc ecc...
Il segreto per scardinarli è che soggetti di sinistra (io non ragiono in termini di sinistra e destra, io ragiono in termini di global e popolo ma comprendete il succo) riescano a parlare alla base di sinistra senza apparire "riserva indiana", per far comprendere che essere anti-europeisti non significa esser di destra o estremisti di sinistra.
Peraltro chi lo dice che anti europeista sia un termine corretto?
Iniziamo a proporre un modello diverso di Europa. Chiamiamolo appunto "confederato" e poi decidiamo NOI precursori cosa si intenda (perché diamo il là alla battaglia ovviamente).
Non è che si perde il "brand" se a 41 anni riconosciamo che in precedenza abbiamo ricevuto "imprinting" da alcuni articolisti (che potrei definire saggisti) più "anziani" (non me ne vogliano). Stati in collaborazione (diciamo "confederati" ma in senso ben lato) dovrebbero attuare progetti comuni in cultura, antropologia, sociologia, filosofia, ricerca non certo occuparsi di unificare monete, banche, eserciti, potere esecutivo, legislativo e polizia. Altrimenti lo capisce anche un cammello che è altro. Questo va comunicato al popolo di CENTRO sinistra (CENTRO = quello di sinistra che è stato riempito di ideologia della "terza via"/global/europeismo ipocrita).
Concludo sul M5s:
Bisogna domandarsi se la propaganda elettorale (costante) sia un valore aggiunto di chiarezza o l'esatto opposto.
Io riconosco due fasi del M5s: quella dal dicembre 2014 all'estate 2015 che era improntata al sovranismo (con accenni perfino al controllo dei capitali) e mi sa dettata da un certo opportunismo (soffiava quel vento lì) e quella precedente e successiva che denunciano che la parentesi sovranista è stata un temporaneo rafforzamento di una corrente minoritaria poi spazzata via. Ecco mi piacerebbe che chi vota sappia cosa vota. Io stesso potrei rivotare M5s ma non perché è anti euro, perché non lo è!
Quando la propaganda serve a farsi conoscere per quello che si è, incrementa la democrazia. Quando invece serve a mimetizzarsi in anti global o anti sistema o anti euro o anti fiscal compact (e non lo si è) allora non è democrazia ma è "consenso".

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